Come ogni mese si è tenuto il ritiro del Clero presso la parrocchia di S. Giuseppe Moscati.
Di seguito viene riportata la meditazione dell’Arcivescovo:
“Cari sacerdoti, come voi ben sapete, ho iniziato il mio ministero in questa amata diocesi il primo ottobre 2017 recandomi a Loreto, nella Santa Casa, per raccogliermi in preghiera e affidarmi alla Madonna, patrona delle Marche.
Tra quelle umili mura riascoltavo come se fosse la prima volta l’Annunciazione. Quante volte abbiamo ascoltato il testo di Luca, ma è importante che rinnoviamo la modalità dell’ascolto, non stando davanti al Signore dicendo: “Ma io questo già lo so”, ma stando davanti a Lui con il desiderio di chi vuole assorbire quella Parola perché è una Parola che ascolto per la prima volta e mi accarezza il cuore perché è Parola dei Signore.
Rimanere in ascolto di questa parola in questa giornata sacerdotale, nel mese di maggio dedicato a Maria, ci dà l’opportunità di ritornare con tanta gioia, con tanta gratitudine e anche con tanta meraviglia alla nostra “annunciazione”, cioè alla realtà della nostra vocazione. Ritornare alla bellezza di quel momento, di quel giorno, significa recuperare quella bellezza e portarla con freschezza al tempo presente della nostra vita. Vorrei condividere con voi, fraternamente e amichevolmente questa riflessione.
Il racconto dell’annunciazione è incorniciato da due movimenti: il primo ricorda l’ingresso dell’angelo dove Maria si trova, il secondo l’allontanarsi dell’angelo. L’angelo viene e poi va. Maria rimane. Questa è la cornice del testo in cui si sondano tre avvenimenti successivi che descrivono come la storia che sta capitando, sia segnata da parte di una rivelazione dell’angelo.
Ai versetti 27-29 l’angelo dice quanto Dio ha operato in Maria, segue lo stupore e il turbamento della Madonna. Poi si annuncia la maternità introducendo anche il tema della verginità, e la Madonna non dubita ma chiede il “come”. Infine l’annuncio che sarà madre e vergine, tutto sarà opera di Dio, ne segue l’adesione di Maria e la gioia del suo cuore.
Perché ho voluto sottolineare questi tre tempi, questa triplice rivelazione e questo triplice intervento della Madonna? Perché in lei, se pur qui sintetizzato in poche righe, la vocazione è stata una storia, cioè un progressivo rivelarsi di Dio a lei e un progressivo suo capire ed entrare dentro questa Parola che le veniva rivolta e le illuminava la vita. In qualche modo in questa storia di vocazione c’è tutta una storia di Maria perché la storia di Maria è stata un progressivo rivelarsi di Dio a lei e un progressivo capire da parte sua il disegno di Dio.
Qui noi troviamo descritta la nostra vita, che è un progressivo mostrarsi di Dio a noi ed un progressivo nostro capire nella nostra vita, un progressivo amarlo, un crescendo di esperienza di Lui e di gioia della Sua presenza nella nostra vita.
C’è un antico proverbio cinese che dice che l’amore è come la luna che se non cresce, cala. E’ così la nostra storia con Dio, se nella nostra vita il guardare Dio non è più un progressivo rivelarsi di Lui a noi, vuol dire che non lo stiamo più guardando e non lo stiamo ascoltando, non lo stiamo amando. Se il nostro modo di stare con il Signore non è un progressivo capirlo, non è un progressivo crescere nel suo amore, vuol dire che non stiamo vivendo per lui, la nostra vita è distratta, la nostra vita è altrove.
Il segno più semplice e anche più verificabile da noi se siamo vivi spiritualmente è se siamo in cammino. Se siamo vivi siamo sempre in tensione, siamo vivi se percepiamo il desiderio di correre e di andare, siamo vivi se lo stare con il Signore è un’esperienza sempre nuova, siamo vivi se lo stare con Lui porta a stare fuori da noi.
Nel Vangelo ci sono tate parole che sembrano piccoli dettagli ma dobbiamo non tralasciarli perché sono importanti. Nel testo lucano uno di questi piccoli dettagli è il numero sei (al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio). Il numero sei ci rimanda al giorno della creazione dell’uomo, dopo aver creato tutto, il sesto giorno Dio creò l’uomo a sua immagine. Ora è proprio nel sesto mese, in questo giorno dell’uomo che Dio entra. L’annunciazione è la notizia per cui Dio dice all’uomo: “Guarda, nel tuo giorno, nella tua vita, nella tua carne ora entro Io”. E’ proprio per questo che la vita dell’uomo, la carne dell’uomo, raggiunge la sua pienezza. “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio nato da donna” (Gal 4,4-5).
La pienezza del tempo, la pienezza del mondo, la pienezza del cuore dell’uomo è data proprio dal fatto che Dio vi entra e vi abita in modo nuovo, unico , definitivo.
Su questo dettaglio rimaniamo per considerare che la pienezza della vita, della nostra vita, la
possiamo far realizzare soltanto quando lasciamo che il Signore vi entri totalmente. Finchè non vi abbiamo lasciato uno spazio totale all’ingresso di Dio, non potremo mai sperimentare la pienezza del nostro tempo, la pienezza del nostro cuore, la pienezza della vita. Solo dove Dio entra in modo totale lì il mondo fiorisce. Pensiamo a questi giorni di primavera cosa fa il sole sulla terra, tutto fiorisce, tutto è bello, senza il sole tutto sarebbe opaco.
Quante colte ci siamo fermati ad interrogarci: Ma perché sono inquieto, perché mi manca la pace, perché sono malinconico e triste? Perché non sono sereno e gioioso, perché non ho piena fiducia e viva la speranza, perché guardo al passato, al presente e al futuro con pesantezza? La risposta ora è semplice, perché Dio è troppo assente, perché Dio non ha preso possesso definitivamente in me, perché c’è qualcosa di me che non gli appartiene, non gli ho permesso di entrare nella Sua proprietà. In una parola potremmo dire che il nostro male è l’assenza di Dio.
Qui ognuno di noi dovrebbe chiedersi: Quale è il volto di Dio di fronte a cui sono? E’ il volto di un amore o il volto di qualcuno che temo, è il volto di colui nelle cui mani mi sento sicuro o è il volto di qualcuno nelle cui mani non mi sento sicuro perché ho timore di Lui?
Il mio mondo, il mio cuore, la mia vita, la mia carne, possono fiorire solo nella misura in cui sono toccato da Dio, abitato totalmente da Dio e nella misura in cui mi dono in proprietà e possesso senza conservare nulla per me.
Pensiamo all’inizio della nostra vocazione alla nostra “annunciazione”, sicuramente c’era entusiasmo e il desiderio di dare tutto a Dio, ma non possiamo negare che con il passare del tempo e degli anni si sono risvegliate in noi tante paure. Eravamo molto coraggiosi all’inizio, pronti a lasciare tutto, gli ormeggi, andare in mare aperto, poi ci siamo un po’ ritirati, impauriti, navigando vicino alla costa perché ci sentiamo più tranquilli.
Questo è il momento per riprendere il largo.
L’angelo di Dio non si dirige verso la Giudea che è la terra della promessa, ma verso la Galilea che è la regione infedele, la regione delle genti, la terra dei pagani. Sembra anche questo un piccolo dettaglio ma non lo è perché ci rivela che Dio sceglie, anzitutto, sempre i piccoli e nello stesso tempo Dio si piega sull’uomo, nelle pieghe dell’uomo fino a raggiungerlo nella propria miseria. Si è rivolto a Maria perchè era piccola, andato nella Galilea delle genti perché ha voluto chinarsi sulla miseria dell’uomo.
Come è bello soffermarsi su questo, perché ci aiuta a recuperare tutta la bellezza del volto di Dio, la bellezza di un volto che si è chinato su di me per puro amore, perché sono misero e forse proprio quando sperimento la mia miseria toccando il fondo, lì trovo questo volto innamorato di me che mi recupera, che mi riprende e mi tira su.
Nel brano di Luca vi è la sottolineatura della verginità come a ricordare che l’opera di Dio non ha bisogno di grandi cose da parte dell’uomo, ma che l’uomo gli faccia spazio. La verginità di Maria, che viene così ripetuta nelle parole angeliche, è proprio per dire che non sei tu a fare, ma aprendo il cuore è Dio che fa: dagli spazio e Lui opererà meraviglie, non porgli ostacoli e vedrai la grandezza del Signore nella tua esistenza. Maria è promessa sposa a Giuseppe, non per nulla il nome Giuseppe, dal punto di vista etimologico, significa “possa Dio aggiungere” e allora in questa pagina dove si parla di Maria la vergine, di Giuseppe lo sposo, si parla di una realtà umana che proprio perché si rende disponibile, fa spazio, non pone ostacoli, rende possibile la meraviglia di Dio.
Ripensando ora alla nostra vocazione, alla nostra vita, no dobbiamo soffermarci troppo a vedere che cosa dobbiamo ancora fare, ma soffermarci invece su ciò che dobbiamo togliere per fare spazio, quali ostacoli ci sono che non permettono al Signore di agire, quali muri sono ancora alzati e non consentono l’opera di Dio. La maturità di una vita con Dio non consiste nel fare molto, ma nel lasciare fare tutto. Quando Gesù parla a Pietro nel vangelo di Giovanni e gli profetizza quello che sarà di lui, gli indica anche il cammino della sua maturità spirituale: “verrà un giorno in cui un altro ti condurrà dove tu non vuoi”, perché san sarai più tu a condurre la vita.
Ecco cosa significa la verginità di Maria, che cosa significa la realtà di Giuseppe: lasciarsi condurre, lasciarsi portare.
Probabilmente quando mettiamo in relazione ciò che abbiamo vissuto nella chiamata e quello che abbiamo vissuto dopo, che stiamo vivendo adesso, troviamo una certa discrepanza tra l’aver detto a Dio di fare di me ciò che vuole e il dirgli di fare ciò che vuole sino ad un certo punto perché voglio realizzare anche ciò che è un po’ mio. Recuperiamo questa disponibilità a lasciar vivere Gesù in noi: quando san Paolo dice che non è più lui che vive ma è Cristo che vive in lui, afferma proprio questo, che non vuole niente lui, ma soltanto che Gesù vive in LUI.
La pagina del Vangelo di Luca è poi tutto un invito alla gioia: le parole dell’angelo, le meraviglie di Maria, il ricordo di alcuni elementi della storia salvifica. Le parole dell’angelo: “Rallegrati, Maria” sono un eco di una parola profetica di Sofonia quando al capitolo 13 dice. “Rallegrati figlia di Sion”. E’ importante mettere in relazione la parola dell’angelo a quella del profeta perché quella di Sofonia parla di una gioia legata strettamente al tempo messianico, cioè a una gioia sponsale, è un invito perché il Messia sta per venire, lo sposo sta per unirsi alla sua sposa, le nozze di Dio con l’umanità si stanno per realizzare e nell’annuncio a Maria la profezia diviene realtà e la gioia di cui si parla è proprio la gioia sponsale delle nozze tra il Signore e la Madonna, tra il Signore e l’umanità, tra il Signore e ciascuno di noi.
Dobbiamo chiederci se la nostra vocazione è una vicenda nuziale e se tutta la nostra storia è una vicenda nuziale. Consentiamoci allora una domanda: ma io sto vivendo la nuzialità, i miei occhi, le mie parole, i miei pensieri, il mio cuore portano il segno della nuzialità?
Chi è innamorato canta, ma se non cantiamo, se non siamo nella gioia del cuore, chi siamo? L’angelo, proprio per sottolineare il motivo di questa gioia che viene ad annunciare a Maria, aggiunge subito che il Signore è con lei: ecco il motivo della gioia sponsale, il Signore è con noi.
Protagonista di questa pagina del Vangelo è lo Spirito Santo. L’angelo parla di questo Spirito che scende su Maria. Lo Spirito che si posa su Maria e le fa ombra indica che la Madonna diventa il Tabernacolo vivente di Dio, è la nuova Arca dell’Alleanza, la nuova dimora del Signore. Noi abbiamo ricevuto lo Spirito Santo battesimo, nella confermazione, nella ordinazione sacerdotale.
Dobbiamo partire da un atteggiamento di rinnovato stupore per i doni bellissimi che abbiamo ricevuto perché il resto è conseguenza di questo: l’andare e il correre è una conseguenza della meraviglia che proviamo in quanto siamo chiamati ad essere l’abitazione di Dio. Siamo come uno scrigno del tesoro nel quale abita il Signore perché vuole essere nostro e attraverso di noi vuole andare al mondo., vuole essere nostro e stare con noi.
La Madonna che si definisce serva una quella splendida parola ECCOMI: Maria è il modello, l’esempio dell’obbedienza e soprattutto della disponibilità a lasciarsi plasmare da Dio e dalla Sua Parola. Il verbo greco che viene usato per indicare la risposta di Maria implica una disponibilità gioiosa e pronta. La Madonna si è aggrappata a quella Parola e si è lasciata trascinare in alto perché si è abbandonata a quella Parola. (Cfr. l’aquila che solleva i corpi e li porta in alto). Proviamo così ad immaginare la nostra vita, noi appesi alla Sua Parola che ci porta su.
Il nostro essere aggrappati alla Parola del Signore deve avere queste caratteristiche: a Lui non basta mai e a me non basta mai andare da Lui e lasciarmi prendere. Questo è il modo di relazionarmi alla Parola, una Parola che è sempre più profonda, che ha sempre nuove esigenze, che mi fa scoprire sempre nuove realtà d’amore e anche da parte mia ci entro dentro e mi lascio portare, non mi fermo, lascio che mi porti dentro di sé, dove vuole. Questo è stato l’atteggiamento di Maria ed è ciò che vogliamo anche per noi.
Vorrei concludere questa meditazione ritornando all’inizio, al primo momento della vocazione, alla chiamata a quel momento forte di essere innamorato del Signore.
“Io non voglio vivere la vita di tutti perché voglio che la mia storia con Te sia unica”. Era ciò che dicevano i santi, santa Teresa di Gesù Bambino diceva che non poteva sopportare che ci potesse essere qualcuno che Gli voleva bene più di lei.
Ritorniamo alla nostra vocazione chiedendo aiuto alla Madonna che ci sostenga nel cammino. Nei molti verbi che nei Vangeli descrivono Maria, vi è indicata una “permanenza” che significa una fedeltà, un permanere dentro qualcosa di grande. Domandiamo al Signore che possa essere così per noi.
Ritiro del Clero 17 maggio 2018 Meditazione Arcivescovo Mons. Angelo Spina
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