La cattedrale di S. Ciriaco, gremita di fedeli, è stata la cornice per la celebrazione dell’Assemblea diocesana. E’ stata celebrata la preghiera dell’ora media, con l’intronizzazione dell’Evangeliario, a cui ha fatto seguito la meditazione e la relazione dell’Arcivescovo. Al termine tante sono state le persone che hanno preso la parola dando il personale contributo. Dopo la recita dell’Angelus, a conclusione, a tutti è stato fatto dono dell’opuscolo su S. Ciriaco nella ricorrenza dei 1600 anni dall’arrivo del suo corpo in Ancona.
Di seguito viene riportato il testo del Vangelo e la riflessione dell’Arcivescovo.
Vangelo secondo Luca – 24, 13-35
13Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, 14e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. 15Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. 16Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. 17Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; 18uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». 19Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; 20come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. 21Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. 22Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba 23e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. 24Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto». 25Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! 26Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». 27E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
28Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. 29Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. 30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. 32Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». 33Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, 34i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». 35Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
In questo testo di Luca possiamo cogliere quattro aspetti interessanti:
- il cammino
- l’ascolto della Parola
- la comunione che permette di riconoscere il Signore e l’altro
- la missione
Il cammino.
Una chiesa in cammino, Papa Francesco l’ha declinata con la felice espressione: “Chiesa in uscita”.
Dopo il racconto della risurrezione da parte delle donne a Pietro, Luca presenta il racconto dei discepoli di Emmaus. E’ significativo che Luca parla di due persone, non di una. Gesù aveva mandato i suoi discepoli, due a due, i due pellegrini sono figura della chiesa. La chiesa non è singolarità, ma è comunione di persone. Di uno dei due sappiamo il nome Cleopa (forse lo zio di Gesù, stando a quanto leggiamo nel vangelo di Giovanni al capitolo 19,25: “Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleopa e Maria di Magdala”), dell’altro viandante non sappiamo il nome, ma potrebbe essere anche ciascuno di noi a cui il primo fa da specchio.
Il giorno in cui si mettono in camminano è lo stesso giorno della risurrezione di Gesù. Escono da Gerusalemme e vanno verso Emmaus. L’uomo è sempre in cammino. Portato dal suo desiderio diventa ciò verso cui va. E mentre camminano parlano e discutono potremmo dire: litigano, non si trovano d’accordo su ciò che è successo a Gesù a Gerusalemme, buttano l’uno sull’altro il proprio malumore.
E’ lo specchio della nostra storia quotidiana. Come i discepoli di Emmaus siamo in cammino in questo tempo e in questa chiesa locale e universale. Un tempo sottoposto a cambiamenti sociali, culturali e religiosi in forte accelerazione. Un tempo che in un certo senso fa avvertire lo smarrimento a causa di una cultura liquida, con il processo di secolarizzazione, di scristianizzazione, di relativismo, di indifferenza e in certi casi di opposizione al Vangelo. A volte avvertiamo la pesantezza, la stanchezza e la rassegnazione nel nostro cammino di chiesa.
Ma, da come abbiamo ascoltato dal vangelo di Luca, in una situazione di rassegnazione e di tristezza, lo stesso Gesù, avvicinatosi, camminava con loro. Il Risorto non abbandona i suoi. Proprio perché è risorto può farsi vicino a tutti e ovunque. “Ma i loro occhi erano impediti di riconoscerlo”. Con la sua menzogna il nemico, satana, colui che divide li ha riempiti di paura e questo avviene anche per noi. L’attesa negativa e la tristezza sono le due mani con cui Satana ci chiude gli occhi davanti al Signore.
Gesù pone la domanda su ciò di cui stanno parlando e discutendo e li vede con il volto triste. E’ un volto nero come il loro cuore. (Scusate, qui sembra di ascoltare papa Francesco che nell’omelia a S. Marta del 31 maggio 2013 diceva: “Il grande Paolo VI diceva che non si può portare avanti il Vangelo con cristiani tristi, sfiduciati, scoraggiati. Non si può. Questo atteggiamento un po’ funebre, eh? Tante volte i cristiani hanno la faccia di andare più a un corteo funebre che di andare a lodare Dio, no?”).
I discepoli di Emmaus esternano tutta la loro delusione, amarezza e mancanza di speranza: “Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele” (Lc 24,21). Di fronte al mistero della croce si frantuma la speranza. Dalle donne hanno ricevuto l’annuncio della risurrezione, ma per loro risulta incredibile. Gesù dice loro: “Stolti e lenti di cuore a credere”. Come a dire: siete senza testa, o meglio, siete di dura cervice e con un cuore incirconciso come il popolo d’Israele. Realmente la nostra testa è impermeabile alla verità di Dio e il nostro cuore è lento (bradicardico) perché raggelato dalla tristezza. Prestiamo più fede alla menzogna di Satana e alle nostre paure che alla verità di Dio e della sua promessa. Questo è il nostro peccato: l’incredulità. Il primo passo da fare è quello di prestare più orecchio alla parola di Dio che non ai nostri timori. Gesù allora spiega le Scritture. E’ il centro della catechesi del Risorto. La sua morte non è un incidente sul lavoro, estraneo alla promessa di Dio. E’ anzi il passaggio per entrare nella gloria. Alla luce pasquale la croce diventa la chiave interpretativa di tutta la Scrittura, e tutta la Scrittura diventa un commento alla croce come gloria di Dio. <<Tutta la Scrittura costituisce un unico libro e quest’unico libro è Cristo, perché tutta la Scrittura parla di Cristo e trova in Cristo il suo compimento>> (cf Ugo da S. Vittore).
<<Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro>>. (Lc 24,28-29).
Gesù è colui che cerca, ma vuole essere anche cercato. La sera ormai avanza e l’invito dei discepoli a restare, a dimorare con loro viene accolto da Gesù. Ora si passa dalla abbondante Parola spiegata, alla mensa del pane spezzato, dalla catechesi dell’ascolto a quella della visione. Gesù prende il pane lo benedice, lo spezza e lo dona loro.
Questa scena bellissima ci riporta con il vangelo di Marco al capitolo 14 e alla pasqua celebrata da Gesù. Leggiamo: <<12Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?». 13Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. 14Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. 15Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi».
In questo testo c’è la pasqua secondo i discepoli e la pasqua secondo Gesù. I suoi discepoli gli dissero: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?». I discepoli pensano come Gesù possa mangiare lui la pasqua. Ma lui dice: “Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli”. Lui non mangia la pasqua da solo, ma con i suoi discepoli, istituisce l’eucaristia.
Dona il suo corpo e il suo sangue dandoli in cibo e bevanda. E invita i discepoli: “Fate questo in memoria di me”. Lui il Risorto è sempre con noi. Quest’anno prima della benedizione eucaristica il giorno del Corpus Domini abbiamo così pregato: “Signore Gesù Cristo, che nel mirabile sacramento dell’Eucaristia ci hai lasciato il memoriale della tua Pasqua, fa’ che adoriamo con viva fede il santo mistero del tuo corpo e del tuo sangue, per sentire sempre in noi i benefici della redenzione. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli”. L’Eucaristia è il Signore che è sempre con noi, è la nostra pasqua, lui ci dona la redenzione.
Ritornando al testo dei discepoli di Emmaus leggiamo:<< 31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero>>. Si aprono gli occhi della fede. Si passa dal “non riconoscere” al “riconoscere” il Signore Gesù. Dio è l’Emmanuele. Non è solo “colui che è” (cf Es 3,14), ma “colui che è con”. Infatti è amore, vittoria sulla solitudine e sulla morte. Per questo rimane per sempre con noi, anzi “in noi”. Perché <<chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me ed io in lui>> (Gv 6,56). La Parola e il Pane, con cui resta nel nostro spirito e nella nostra carne, sono il viatico della chiesa, fino alla fine dei tempi. L’uomo diventa la parola che ascolta, e vive del pane che mangia. La parola e il corpo di Gesù ci assimilano a lui, donandoci il suo stesso spirito, che è la forza per vivere da figli del Padre e da fratelli tra noi.
Come ai discepoli di Emmaus, anche noi possiamo conoscere bene il Signore e tutte le Scritture. Ma siamo evangelizzati solo a metà, e tutta la nostra vita è amarezza e delusione, fino a quando la sua Parola non ci fa comprendere la croce e il suo pane non ce lo fa riconoscere vivo e operante in noi.
Questo racconto ci insegna a “discernere” la vita del Signore. Egli è sempre presente. La sua azione è farci passare dalla desolazione alla consolazione. Se prima ci sentivamo soli ed abbandonati, ci vuole far sentire che lui è con noi e riempie la nostra solitudine. Se il nostro cammino era una fuga, con tristezza, oscurità, scoramento e sfiducia, ora diventa una corsa a Gerusalemme verso i fratelli, con la mente piena di luce e il cuore traboccante di gioia, di fiducia, di coraggio, di speranza. La fede è questo rapporto vitale con lui.
I discepoli che hanno riconosciuto il Signore nello spezzare il pane, nel giorno che sembrava declinare, ora vedono che quel giorno non finisce più perché c’è dentro la luce del Risorto. E’ significativo che dopo ciò i discepoli di Emmaus invertono la marcia. Hanno ricevuto quel cibo che dà forza per compiere il cammino per ritornare a Gerusalemme e portano ora non il racconto della risurrezione, ma la testimonianza del loro incontro con il Risorto. E’ il grido di pasqua, la gioiosa professione di fede dei primi cristiani. Colui che fu visto da Simo Pietro è il medesimo riconosciuto dai discepoli. Inizia la missione. Ciò che si è sperimentato non può rimanere per sé ma va comunicato, annunciato agli altri.
L’incontro con Gesù Risorto attraverso la parola e il pane eucaristico continuamente ci guarisce: i nostri piedi si mettono non in fuga, ma in cammino con lui per seguirlo ed essere accompagnati. Il nostro volto passa dall’oscurità della tristezza alla luce della gioia, la nostra testa, senza cervello, si dischiude alla comprensione, il nostro cuore, raggelato e lento, comincia a pulsare e ad ardere, i nostri occhi, appannati dalla paura, si aprono a contemplare lui, e la nostra bocca, indurita nel litigio con il fratello, canta lo stesso alleluia di tutti i salvati della storia. Siamo nati e continuamente nasciamo come uomini nuovi se ci lasciamo incontrare dal Risorto.
Questa parola ascoltata ci permette di cogliere, alcuni aspetti che, nell’omelia del 1° ottobre, quando ho fatto l’ingresso in diocesi sintetizzavo con cinque parole, con la lettera “P”: Parola di Dio, Preghiera, Penitenza, Pane eucaristico, Pace.
Il racconto dei due discepoli di Emmaus ci porta a riflettere su questi aspetti:
Il cammino.
Siamo una Chiesa in cammino con la certezza che l’amore di Dio è in mezzo a noi, che noi siamo uniti al Lui nell’amore e che, uniti tra noi, siamo Chiesa, sacramento dell’intima unione con Dio. Questa Assemblea vuole essere un incontrarci e tracciare le linee di un cammino che non è statico e precostituito, ma che è dinamico e richiede la collaborazione di tutti i battezzati nella collaborazione e nella corresponsabilità. Un antico proverbio dice che chi cammina solo arriva prima, ma chi cammina insieme arriva lontano. Siamo chiamati a camminare insieme: vescovo, presbiteri, diaconi e popolo di Dio. E’ questa Chiesa locale di Ancona- Osimo che cammina. Un cammino che deve esprimere la diocesanità, che tradotto significa essere uniti al Signore, il Pastore grande, bello e buono delle pecore, uniti al Papa, uniti al vescovo, uniti tra noi. La Chiesa è comunione. Il motto del mio stemma è: “In caritate coniuncti” (Uniti nell’amore di Dio, Col, 2,2).
Tutti noi abbiamo potuto sperimentare quotidianamente le parole di Gesù: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Egli con la sua presenza e il dono del suo Spirito, l’ha condotta e la conduce nel tempo per essere luce, sale e lievito, segno e strumento di salvezza. E’ quindi un cammino carico di fiducia e di speranza.
Il cammino con il Signore Gesù chiede a ognuno di noi di formarci alla Sua scuola. La parola chiave e trasversale è: formazione, formazione permanente.
Come i discepoli si sono lasciati formare e plasmare dalla Parola di Dio così siamo chiamati anche noi a fare lo stesso percorso. La Parola di Dio è Dio stesso che parla, parla in Gesù, il Verbo fatto carne (cf Gv1,14).
E se Dio parla noi siamo chiamati ad ascoltare. Ascoltare non è una strategia, ma una condizione umana e teologica fondamentale.
Formarci alla scuola della Parola di Dio è compito prioritario per passare e far passare da una religiosità di facciata e solo tradizionale (son cattolico perché sono nato in un paese cattolico e in una famiglia cattolica) ad una fede che sia incontro con una Persona, il Signore Gesù, scelta convinta e definitiva di Cristo che parla, ama e salva.
E’ la via obbligata per qualificare sempre più e meglio gli operatori pastorali dei settori dell’evangelizzazione, della liturgia e della carità e in definitiva tutti i fedeli laici. Ritengo urgente porre alla base della nostra fede la Parola di Dio. Imparare a leggerla, a capirla, ad accoglierla e a viverla.
Per raggiungere questo obiettivo, dopo aver ascoltato i presbiteri, ritengo sia utile e necessario aprire una scuola diocesana di formazione permanente per tutti, una scuola di formazione biblica e teologica tenendo presenti le quattro costituzioni conciliari: Dei Verbum, formazione biblica; Lumen Gentium, formazione dogmatica; Sacrosanctum Concilium, formazione sacramentaria; Gaudium et Spes formazione sulla dottrina sociale della Chiesa e questioni di bioetica.
Il primo anno è dedicato alla formazione biblica con incontri quindicinali, di domenica pomeriggio, a cui sono invitati tutti gli operatori pastorali: catechisti, coloro che fanno un cammino per il lettorato, per il ministero straordinario dell’Eucaristia, per coloro che intendono fare un percorso di formazione per il diaconato, gli operatori della pastorale familiare, giovanile, ecc.ecc.
Non mi soffermo sulle modalità perché verranno concordate e comunicate in futuro.
Riguardo alla formazione permanente ogni settore pastorale, poi, dovrà fare una formazione specifica oltre quella già accennata e di base.
Avendo ascoltato i nostri presbiteri, da loro ho ricevuto chiare informazioni sui diversi uffici, tutto il bene che è stato fatto e come rilanciare l’impegno perché con entusiasmo si possa servire la chiesa diocesana e le parrocchie. Ho chiesto loro di darmi indicazioni per i direttori degli uffici. Li ringrazio per questo e appena avrò un quadro più definito delle risposte che sono pervenute al Vicario generale don Roberto, che di cuore ringrazio, passerò, nel futuro, a fare le nomine.
Gli uffici pastorali non sono stanze con una etichetta, ma sono organismi viventi che permettono di formare i presbiteri e laici in settori pastorali che richiedono, in un mondo che cambia, sempre più competenza per ricevere dalle parrocchie e aiutarle nel cammino pastorale. L’immagine che dovrebbe aiutarci è quella di una chiusura lampo, da un lato la parrocchia e da un lato la diocesi che si incontrano e fanno chiusura mettendo insieme a frutto i doni che maturano, facendosi carico anche delle difficoltà che si incontrano.
In fondo la nostra chiesa, nel suo cammino, dovrà essere sempre più una chiesa ministeriale (cioè di servizi pastorali, ministerialità per la famiglia, per i giovani, per gli ammalati, per la cultura, ecc.) e i laici dovranno essere sempre più coinvolti come soggetti attivi, questo non è un privilegio che viene concesso, ma fa parte della stessa vocazione battesimale ricevuta.
Ecco allora due cammini di formazione: uno di base per tutti, quello della formazine diocesana e un cammino che ogni ufficio pastorale farà per formare nello specifico gli operatori.
La nostra Arcidiocesi sta lavorando perché si possa avere un luogo, un Centro Pastorale Diocesano dove potersi incontrare e vivere esperienze di incontri pastorali. Siamo in trattative con i padri saveriani per acquistare la loro sede e farla diventare luogo di incontri, di cui, diocesi e parrocchie, ne possono usufruire. E’ anche questo una cammino che richiede tempo, ma ci sono buone prospettive.
Nel cammino che si va tracciando ci rendiamo conto della ricchezza che il Signore ci dona. Accenno solo brevemente quanta importanza ha l’ufficio catechistico nel dover formare i catechisti sia dal punto di vista dei contenuti che metodologico e dare una unitarietà di indirizzo affinchè vengano evitate le frammentazioni. L’ufficio missionario, per promuovere sempre più una chiesa in uscita per annunciare il vangelo e creare legami con chiese sorelle in terre di missione. La pastorale familiare diventa sempre più una priorità a seguito dei due sinodi e della esortazione apostolica Amoris Letitia, su questo siamo chiamati a mettere tanto entusiasmo ed energie affinchè venga annunciato il vangelo dell’amore, del matrimonio, della famiglia e della vita, a far vedere la bellezza del matrimonio sacramento e a stare accanto alle famiglie ferite. Unitamente alla pastorale familiare altra priorità è quella della pastorale giovanile. A breve si terrà il sinodo dei giovani. Sappiamo anche dal Rapporto giovani del Toniolo 2018 che il credere dei giovani in una realtà trascendente o il non credere, il praticare o meno riti della propria credenza sono sempre più frutto della libertà personale. La pratica religiosa e l’appartenenza alla comunità cristiana nella quale avveniva l’iniziazione cristiana e l’educazione religiosa delle nuove generazioni erano esperienze comuni. Oggi l’appartenenza a una religione è sempre più frutto di una scelta personale in un contesto in cui dominano i valori di autorealizzazione e di autoaffermazione in cui il pluralismo, anche religioso, costringe a confrontare di continuo le proprie opzioni con altre anche molto diverse e a dare ad esse motivazioni convincenti e personali. Essere religiosi oggi, in Italia, non è scontato. Da una recente indagine, i giovani che si dichiarano cattolici sono il 52,7%, chi dice di non credere in nessuna religione è il 23%, altri sono indifferenti. La partecipazione alla S. Messa domenicale è bassissima. Armando Matteo ha scritto un libro dal titolo: “La prima generazione incredula. Il difficile rapporto tra i giovani e la fede- Rubettino 2017”.
E’ il tempo di ascoltare i giovani, di provocarli con le domande, coinvolgersi con loro e accompagnarli stando accanto. Sui giovani bisogna investire molto, il tempo a loro dedicato non è tempo perso. La pastorale scolastica poi è così importante, sono gli insegnanti di religione che incontrano i nostri ragazzi e giovani nella scuola per alcuni anni. L’ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, poi ci apre ad una dimensione più ampia ed ecumenica, per camminare verso l’unità di tutti i credenti in Cristo, basti pensare all’incontro di giovedì scorso 21 giugno 2018, a Ginevra al Consiglio ecumenico delle Chiese a cui ha partecipato papa Francesco. Quanta importanza rivestono le comunicazioni sociali, stampa, video, social, è stato uno degli argomenti trattati all’ultima Assemblea della CEI, come essere presenti e come abitare questi luoghi. Il turismo, lo sport e il tempo libero sono realtà da evangelizzare, come promuovere i pellegrinaggi, momenti favorevoli per evangelizzare. Come è importante lavorare nel mondo della cultura e in diocesi si celebrano ogni anno le giornate dell’anima, ma lo spazio va allargato, teniamo presente anche la pastorale universitaria. Come è necessaria la formazione liturgica, preparare gli operatori e gli animatori della liturgia. Un vasto mondo è quello dei beni culturali e quello dell’edilizia di culto.
Noi sacerdoti abbiamo bisogno sempre più di formazione permanente. Lo accennavo prima, coloro che vogliono accedere ai ministeri istituiti e al diaconato vanno accolti, va fatto un discernimento, vanno formati, così come è importante seguire i nostri ragazzi ministranti che stanno intorno all’altare. La pastorale vocazionale insieme a quella familiare e giovanile deve avere un posto di priorità, oggi abbiamo sette seminaristi. Teniamo presente che i sacerdoti incardinati nella nostra arcidiocesi sono in totale 77 di cui 13 per età e salute sono inabili, 10 hanno dagli 80 agli 88 anni, 22 dai 70 agli 80 anni e 32 una età che varia dai 30 anni ai 69. E’ necessaria tanta preghiera e impegno e questo anche per la vita consacrata.
Importanti sono le aggregazioni laicali e le confraternite i cui cammini vanno sempre più valorizzati, purificati ed evangelizzati. Quanto bene fa la Caritas, ma in tante forme va ripensata e rilanciata a seguito dei tanti cambiamenti sociali, come la pastorale dei migranti e dell’apostolato del mare. La pastorale del lavoro è chiamata ad una presenza capillare nel mondo del lavoro per far riscoprire sempre più la dignità dei lavoratori; la pastorale della salute per stare accanto a chi è nella malattia, ma anche per formare operatori pastorali nel campo sanitario e promuovere una sanità più umana e solidale nell’ottica del buon samaritano.
Certo che di fronte a quanto detto ci sentiamo piccoli e proviamo un senso di smarrimento. Ma siamo chiamati ad avere fiducia.
Siamo chiamati a riconoscere Gesù nello spezzare il pane, ad aprire gli occhi.
E’ proprio fissando lo sguardo su Gesù, accolgiendo la Sua Parola e ricevendo il Suo Corpo e Sangue che veniamo santificati.
Stiamo vivendo questo anno ricordando i 1600 anni dell’arrivo ad Ancona di S. Ciriaco, a tutti a fine incontro viene dato in omaggio un opuscolo che abbiamo pubblicato. Il prossimo anno ricorrono 800 anni da quando S. Francesco è partito dal porto di Ancona per recarsi pellegrino di pace durante la quinta crociata a Damietta in Egitto dal Sultano al-Malik al-Kamil. Sono date storiche che ci fanno capire che Ancona, porta del cristianesimo nelle Marche, è la porta d’oriente e via della pace, sul cammino della santità di S. Ciriaco e S. Francesco
Papa Francesco nella esortazione apostolica: Gaudete et exsultate ci ricorda che: “Il Signore ha salvato un popolo. Non esiste piena identità senza appartenenza ad un popolo. Perciò nessuno si salva da solo, come individuo isolato. (n.6)..e al n. 7 Mi piace vedere la santità nel popolo di Dio paziente: nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, gli uomini e le donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere. IN questa costanza per andare avanti giorno dopo giorno vedo la santità della Chiesa militante. Questa è tante volte la santità “della persona accanto”…n.10 Tuttavia, quello che vorrei ricordare con questa Esortazione è soprattutto la chiamata alla santità che il Signore fa a ciascuno di noi, quella chiamata che rivolge anche a te:<<Siate santi, perché io sono santo>> (Lv 11,44)…n.14 tutti siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova. N. 15 Lascia che la grazia del tuo Battesimo fruttifichi in un cammino di santità”.
Il nostro è un cammino bello di santità, non di pesi da mettersi sulle spalle, ma un cammino di beatitudine per servire il Signore in santità e giustizia.
Da questo scaturisce la missione. Abbiamo ascoltato nel vangelo di Luca che: <<33Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, 34i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». 35Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane>>.
Il cammino è quello di una Chiesa non solo che narra, ma che è testimone e perciò annuncia il Vangelo. La Chiesa è per sua natura missionaria, è mandata (LG17; EN,14). IL Signore infatti ha detto: <<Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo>> (Mt 28,19).
La conversione pastorale
La fase di delicato cambiamento culturale, che la società sta attraversando, richiede un supplemento di fiducia e di audacia missionaria. Fiducia nella parola di Gesù: “Andate in tutto il mondo e proclamate il vangelo a ogni creatura” (Mc 16,15) e audacia missionaria sull’esempio dell’apostolo Paolo “Guai a me se non annuncio il Vangelo!” (1Cor 9,16).
Papa Francesco a questo ci invita e ci sollecita. Nella Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium al n. 1 mette bene in evidenza che: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia. In questa Esortazione desidero indirizzarmi ai fedeli cristiani, per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni”.
Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia è, infatti, la questione cruciale della Chiesa in Italia oggi, ci dicevano i Vescovi nella Nota pastorale del 2004, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia.
Una pastorale tesa unicamente alla conservazione della fede e alla cura della comunità cristiana non basta più. E’ necessaria una pastorale missionaria, che annunci nuovamente il Vangelo, ne sostenga la trasmissione di generazione in generazione, vada incontro agli uomini e alle donne del nostro tempo testimoniando che oggi è possibile, bello, buono e giusto vivere l’esistenza umana conformemente al Vangelo e, nel nome del Vangelo, contribuire a rendere nuova l’intera società.
Papa Francesco al Convegno ecclesiale di Firenze, del novembre 2016, dove sono state evidenziate le cinque vie per un nuovo umanesimo: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare, con molta enfasi ha detto. “Una Chiesa che presenta questi tre tratti – umiltà, disinteresse, beatitudine – è una Chiesa che sa riconoscere l’azione del Signore nel mondo, nella cultura, nella vita quotidiana della gente. L’ho detto più di una volta e lo ripeto ancora oggi a voi: «preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti» (Evangelii gaudium, 49).
Al numero 33 dello stesso documento, evidenzia che: “La pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così”. Invito tutti ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comunità”.
Nel Discorso all’episcopato brasiliano, Arcivescovado di Rio de Janeiro, 27 luglio 2013, diceva: “Sulla conversione pastorale vorrei ricordare che “pastorale” non è altra cosa che l’esercizio della maternità della Chiesa. Essa genera, allatta, fa crescere, corregge, alimenta, conduce per mano. Serve allora una Chiesa capace di riscoprire le viscere materne della misericordia. Senza la misericordia c’è poco da fare oggi per sentirsi in un mondo di “feriti”, che hanno bisogno di comprensione, di perdono, di amore”.
Papa Francesco tracciando un cammino che si basa sul binomio evangelizzazione/Chiesa missionaria, ora e adesso, invita tutta la Chiesa a mettersi in movimento e a uscire, materialmente parlando dalle proprie sicurezze. La Chiesa, per sua natura, non può non essere missionaria, lo aveva ben evidenziato Paolo VI nella Evangelii nuntiandi: “Evangelizzare, infatti, è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare, vale a dire per predicare ed insegnare, essere il canale del dono della grazia, riconciliare i peccatori con Dio” (EN,14).
Il continuo rinnovamento della Chiesa è dunque strettamente necessario all’adempimento del comandamento del Signore di annunciare il Vangelo fino agli estremi confini della terra in continuo cambiamento.
Cari fratelli e sorelle, grazie per l’ascolto, consegno a voi queste linee pastorali su cui riflettere e impostare il nostro cammino di Chiesa diocesana. Affidiamo tutto al Signore con la preghiera, al soffio dello Spirito Santo e alla intercessione della Regina di tutti i Santi che in questi giorni veneriamo con i diversi pellegrinaggi mattutini dalle parrocchie e con l’assidua preghiera, in preparazione alla festa del 26 giugno prossimo.
Grazie per la pazienza e per l’ascolto prestato. Ora ci mettiamo in piedi e facciamo un canto e dopo diamo spazio agli interventi, che siano brevi e puntuali. Grazie.