Cari insegnanti di religione cattolica, è la seconda volta che vi incontro tutti insieme. Grazie per avere risposto all’invito.
Il mio intervento avrà i seguenti punti:
- Una riflessione sul Vangelo di Giovanni (1,29-519)
- La proposta dell’Anno francescano diocesano
- L’identità e la missione dell’insegnante di religione
- La formazione permanente
- Consegna del Messaggio per l’Anno scolastico 2018-2019
29Il giorno dopo, Giovanni vedendo Gesù venire verso di lui disse: “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!
30Ecco colui del quale io dissi: Dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era prima di me.
31Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare con acqua perché egli fosse fatto conoscere a Israele”.
32Giovanni rese testimonianza dicendo: “Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui.
33Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto: L’uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo.
34E io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio”.
35Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli
36e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: “Ecco l’agnello di Dio!”.
37E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù.
38Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: “Che cercate?”. Gli risposero: “Rabbì (che significa maestro), dove abiti?”.
39Disse loro: “Venite e vedrete”. Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio.
40Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro.
41Egli incontrò per primo suo fratello Simone, e gli disse: “Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)”
42e lo condusse da Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)”.
43Il giorno dopo Gesù aveva stabilito di partire per la Galilea; incontrò Filippo e gli disse: “Seguimi”.
44Filippo era di Betsàida, la città di Andrea e di Pietro.
45Filippo incontrò Natanaèle e gli disse: “Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nàzaret”.
46Natanaèle esclamò: “Da Nàzaret può mai venire qualcosa di buono?”. Filippo gli rispose: “Vieni e vedi”.
47Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: “Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità”.
48Natanaèle gli domandò: “Come mi conosci?”. Gli rispose Gesù: “Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico”.
49Gli replicò Natanaèle: “Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!”.
50Gli rispose Gesù: “Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose maggiori di queste!”.
51Poi gli disse: “In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo”.
Il Vangelo ci parla dell’incontro di Gesù con Giovanni Battista. Il Battista è colui che attende chi viene a farsi battezzare, ne prepara la strada ma il testo ci dice che Giovanni non lo riconosce subito. C’è bisogno di un nuovo incontro e questo fa si che lo indica a due dei suoi discepoli come l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo.
Uno di questi discepoli è Andrea, l’altro è anonimo e viene comunemente identificato con Giovanni, il discepolo che Gesù amava.
Giovanni Battista è la mediazione perché i due seguono Gesù. C’è qualcuno prima che indica e poi chi si mette in cammino. Inizia l’avventura dei discepoli. E’ significativo che non è uno ma sono due, già c’è il germe della Chiesa: dove due o più sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro.
E’ evidente che seguire Gesù non è un insieme di belle teorie o imperativi morali, è la realtà di una persona: l’uomo Gesù, che si segue perché lo si ama.
Il testo mette in evidenza che Gesù si volta. I due lo stanno seguendo, hanno sete di conoscerlo e lui si volta e rivolge loro la parola con una domanda: che cercate? Che potremmo tradurre così: cosa cerchi veramente nella tua vita, nelle tue relazioni, in quello che stai facendo.
E i due chiedono: “Rabbì dove dimori?”. La casa non è la tana dove l’animale si ripara e nasconde ma è il luogo delle relazioni e degli affetti. “Dove abiti?”, significa “Chi sei?”.
E Gesù dice: “Venite e vedrete”. E’ un esplicito invito a seguirlo dove lui è. Gesù non fa rimanere fermi, ma mette in cammino, non vuole che ci avvitiamo su noi stessi, ma che apriamo la vita a un nuovo orizzonte, mette dinamismo nel cuore e nei piedi.
Vedere è l’altro verbo sottolineato nel testo. “Vedere” è azione dell’aocchio. Come l’udito può sentire rumori o ascoltare parole, analogamente l’occhio può scorgere oggetti o vedere l’invisibile. Esso è la porta del cuore: fa entrare ciò che è fuori e uscire ciò che è dentro. Ed è sempre rivolto a ciò che si ama. Vedere è l’azione propria di chi nasce ad una nuova condizione di vita, come il bimbo che nasce alla luce.
Vennero e videro dove abitava. Andando dietro a lui, appagano il loro desiderio di vedere ciò che cercano. Il Vangelo non ci dice che cosa videro. Ma sottolinea che dimorarono presso di lui. Dimorare insieme significa avere la stessa casa; anzi, farsi l’uno casa dell’altro. I discepoli sperimentano la gioia iniziale di una vita fruttuosa e realizzata, propria del tralcio unito alla vite.
Il testo mette in evidenza “quel giorno”, è il giorno lungamente atteso, in cui trovano quello che hanno sempre cercato. Viene annotato che erano circa le quattro, cioè l’ora decima. Dieci è il numero del compimento. L’ansia cdi chi cerca si muta nella gioia di chi trova. Le quattro del pomeriggio indicano la fine della fatica del lavoro e quindi si entra nel riposo.
L’incontro di Andrea con Gesù lo porta ad incontrare il fratello Simone. Si scopre che non si può essere soli, c’è sempre la fraternità. La vera fraternità è nella parola scambiata. Chi ha incontrato la Parola, non può non comunicarla, come chi è illuminato non può non riverberare la luce. Stando al testo, Andrea incontra il fratello il giorno stesso in cui dimora presso il Figlio. E’ la scoperta di chi ha trovato il tesoro. Andrea comunica la sua gioia al fratello perché gli interessa (la parola inter-esse = essere dento). Ha incontrato il Messia cioè l’unto, il Cristo, il re che avrebbe realizzato ogni promessa di Dio.
Giovanni Battista ha detto che Gesù è l’Agnello di Dio. Andrea dice che è il Messia.
Andrea conduce il fratello Simone da Gesù. E’ il fratello che conduce al Messia. Ognuno giunge a incontrare Dio per la mediazione di un altro che glielo annuncia e testimonia.
L’incontro tra Gesù e Pietro è fatto di sguardi il testo dice: “fissatolo”, è uno sguardo che penetra il cuore.
Gesù lo chiama per nome e poi glielo cambia in Kefas, Pietro, ad indicare la sua futura vocazione e missione.
Il Vangelo nella sua descrizione dice che il giorno dopo. Se contiamo i giorni questo è il quarto. Gesù incontra Filippo e gli dice: segui me. Filippo riceve da Gesù l’invito a seguirlo. Questo ci fa capire che ogni vocazione è diversa secondo la situazione, ma uguale nella destinazione.
Ma è significativo che Filippo incontra Natanaele, Bartolomeo e gli parla dell’incontro avuto con Gesù di Nazaret, il figlio di Giusppe. Anche in questo incontro scorgiamo la dimensione ecclesiale, non è solo Filippo ma anche Natanaele. Pere uno che studia la Scrittura non è facile riconoscere il messia in uno che viene da Nazaret, mai menzionata nei testi sacri. Ma Filippo rivolge a Natanaele lo stesso invito che i primi due discepoli ascoltarono da Gesù.
Gesù dice di Natanaele “ecco un israelita in cui non c’è falsità”. Gesù guarda dentro Natanaele, lo vede e conosce senza che nessuno gli abbia parlato. Natanaele è sorpreso che Gesù lo conosce fino in fondo, si sente scrutato. Gesù fa riferimento che lo ha visto quando era sotto l’albero di fico. Nella tradizione del giudaismo il fico, albero della conoscenza della felicità e della sventura, può simboleggiare lo studio della legge, il suo dolce frutto.
Natanaele come si vede riconosciuto da Gesù, lo riconosce. “Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele”. A questa professione di fede Gesù fa seguire queste parole: “Vedrai cose maggiori di queste…in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo”.
Gesù è il Figlio dell’uomo sul quale si apre il cielo (Is 63,19), come nel battesimo (cf Mc 1,10): su lui scende e dimora lo Spirito. E’ un richiamo alla visione di Giacobbe che vede gli angeli salire e scendere su di lui a BETEL (CF Gn 28,12) e scopre che quel luogo è 2tremendo”. È la porta del cielo (cf Gen 28,17). L’alleanza con Dio, che Giacobbe avvertiva minacciata, è ristabilita e donata pienamente nel Figlio dell’uomo: lui sarà il nuovo tempio, la porta tra Dio e l’uomo, comunione tra i due. Egli infatti, Parola diventata carne, è la dimora di Dio tra gli uomini e di ogni uomo con Dio. Con lui vera scala di Giacobbe, è definitivamente aperto il cielo: Dio comunica con l’uomo e l’uomo con Dio.
Nei primi incontri che abbiamo ascoltato nel primo capitolo di Giovanni è già tracciato il cammino del discepolo: accogliendo la testimonianza del Battista e seguendo Gesù, vede dove dimora l’Agnello di Dio, il Messia, il Figlio di Dio, il re d’Israele e il Figlio dell’uomo, dimora comune di Dio e dell’uomo.
Il brano di Giovanni su cui ho cercato di fare una riflessione per me e anche per voi, cari fratelli ci ha presentato il diffondersi della testimonianza come un contagio, o, meglio come un fuoco che si propaga dall’uno all’altro, accendendo tutti della stessa luce. Giovanni “il giorno dopo” aver riconosciuto l’atteso (cf vv. 19-34) lo indica a due dei suoi discepoli, che subito lo seguono (vv. 35-39). Uno di loro Andrea, conduce a Gesù conduce suo fratello Simone (vv. 40-429. Il giorno dopo c’è l’incontro con Filippo (vv.43-44) e questi a sua volta, porta l’incredulo Natanaele, a “venire a vedere” Gesù di Nazaret “vv 45-50). La testimonianza di Giovanni e dei successivi, è la mediazione necessaria per giungere a Gesù: l’incontro con lui però è immediato e personale (cf 4,41, s.). “Molti di più credettero per la sua parola
42e dicevano alla donna: “Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo”.
Linee pastorali
Il 23 giugno all’Assemblea diocesana tracciavo delle linee pastorali con l’immagine del cammino. I due discepoli di Emmaus in cammino a cui si unisce Gesù che non viene riconosciuto, che vede il volto triste dei due viandanti e ascolta i loro discorsi privi di speranza. E’ a loro che parla e riscalda i cuori, cammina fino a sera e quando viene invitato restare si ferma. Spezza il pane, si aprono gli occhi dei due discepoli e lo riconoscono nello spezzare il pane. Lui scompare dai loro sguardi. Ma infiammati di quell’incontro con il Risorto tornano a Gerusalemme ad annunciare ai fratelli che il Signore è veramente risorto.
L’immagine dei discepoli di Emmaus, ma anche quello che abbiamo ascoltato questa mattina dal primo capitolo del vangelo di Giovanni sono il paradigma del cammino della nostra Chiesa locale chiamata a vivere questa epoca che cambia, con la gioia di testimoniare il vangelo. Come ci ricorda il Papa nella Evangelii Gaudium essere discepoli-missionari.
Gesù ha chiamato, chiama e chiamerà sempre discepoli a seguirlo per essere discepoli missionari, per essere nella Chiesa soggetti attivi nelle diverse ministerialità.
Dopo l’anno di S. Ciriaco, la nostra arcidiocesi si apre a celebrare un
Anno Francescano nel 2019.
Nel 1217, al Capitolo di Pentecoste, tenutosi a S. Maria degli Angeli alla Porziuncola in Assisi, dall’Ordine Francescano venne deciso di aprirsi alla dimensione missionaria e universale, mandando i frati in tutto il mondo allora conosciuto come testimoni di fraternità e di pace.
Furono scelte come mete in Europa: l’Inghilterra, la Francia, la Germania e l’Ungheria. A questa primavera di annuncio missionario vi partecipò anche Francesco, scegliendo come terra di annuncio la Francia.
Oltre all’Europa, in quel Capitolo del 1217, si scelsero come meta di missione le terre d’Oltremare, come allora era chiamata la Terra Santa. Francesco già nel 1212, partendo da Ancona, aveva cercato di raggiungere la Terra Santa senza tuttavia riuscirvi.
Nel 1217 alcuni frati, guidati da frate Elia da Cortona, furono inviati “oltremare” per fondare una nuova Provincia francescana.
Due anni dopo, nel 1219, è lo stesso Francesco che venendo da Assisi, si imbarcò al porto di Ancona per raggiungere la Terra Santa, come pellegrino di pace durante la V crociata. Approdò ad Akko, allora si chiamava San Giovanni d’Acri, città nel nord della Galilea, dove c’era una roccaforte crociata e da lì insieme ad un frate suo compagno, Pietro Cattani, scese fino a Damietta in Egitto per vivere l’incontro con il Sultano Al Malik Al Kamil. Un incontro che ci ricorda che l’incontro è sempre possibile alla condizione di desiderare di incontrare l’altro e di non farsi vincere dalla paura. Il desiderio di Francesco era quello di portare Gesù Cristo e poter parlare di Lui. L’incontro con il Sultano rese possibile il sogno di Francesco. L’incontro con il Sultano fu l’incontro tra due persone di religione diversa, culture e modi di vivere diversi, ma che avevano ambedue il cuore grande aperto l’uno all’altro. Da quell’incontro Francesco ricevette un salvacondotto speciale dallo stesso Sultano e così potè raggiungere i luoghi santi in particolare il Santo Sepolcro e poi sicuramente Betlemme. Luoghi che rimasero dentro il cuore, dentro la spiritualità di Francesco, luoghi che lui stesso vorrà ricreare con il presepe a Greccio e con il suo amore particolare al mistero della passione e morte redentrice del Signore per noi. Probabilmente salì fino a Nazaret per poter celebrare, vivere ed adorare il mistero dell’incarnazione, davanti alla grotta dell’Annunciazione, di cui le Marche sono diventate custodi, a Loreto, con la Santa Casa. Francesco attraversando la Siri si imbarcò facendo ritorno in Italia e sbarcando ad Ancona nel 1220.
La cosiddetta regola non Bollata di S. Francesco dai capitoli 14 al 17 dice come i frati devono andare per il mondo.
Vale la pena segnalare la scelta del verbo “andare” per indicare l’evangelizzazione dei frati. Che sia per il mondo o tra i saraceni, si tratta comunque di un “andare”.
Viene descritto il come andare per il mondo. Un “come” decisamente evangelico, senza sacco, né bisaccia, né pecunia, né bastone, annunciando la pace. Sembra che a Francesco importi più il come andare che il che cosa fare o dire. La testimonianza offerta come andare, in povertà e gioia, è la più efficace evangelizzazione e si esplicita nell’annuncio di pace e nell’invito alla conversione.
Il cuore del capitolo sta nell’indicazione di “due modi” nei quali si può andare tra i non cristiani: <<I fratelli poi che vanno, in due modi possono comportarsi spiritualmente in mezzo a loro. Un modo è che non facciano liti né dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per Dio e confessino di essere cristiani. L’altro modo è che, quando vedranno che piace a Dio, annunzino la parola di Dio, perché essi credano in Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo, creatore di tutte le cose, e nel Figlio redentore e salvatore, e perché siano battezzati e siano fatti cristiani, poiché chi non sarà rinato dall’acqua e dallo Spirito Santo non può entrare nel regno di Dio>>.
Francesco fa cogliere così il necessario rapporto tra testimonianza e annuncio. Il primo modo è quello della testimonianza continua e che fa da base alla possibilità che <<quando vedranno che piace al Signore>>, nascano altre forme di evangelizzazione.
Francesco stesso aveva sperimentato l’incontro con un mondo così diverso e “altro” rispetto a quello a lui noto. Nei contatti con il Sultano ha potuto intravvedere un’altra cultura e fatto cogliere che dall’incontro con gli altri possono nascere cose nuove.
Sicuramente Francesco è il primo santo dell’Occidente cristiano a cercare contatti con il mondo musulmano. La sua iniziativa, non ispirata da scopi politici, economici è esclusivamente evangelica e missionaria.
Francesco tornò in occidente con una idea nuova di martirio: meno tesa alla ricerca della morte per mano di “infedele” e più pronto al sacrificio quotidiano di sé, per continuare la propria testimonianza non esclusivamente legata al versamento del sangue. L’imposizione delle stimmate sulle sue carni avrebbe sancito un’imitazione di Cristo raggiunta senza esporsi alle armi terrene.
Sono trascorsi 800 anni da quando S. Francesco è partito dal porto di Ancona per recarsi in Terra Santa. Oggi assistiamo a fenomeni migratori, ad attentati terroristici, le nuove situazioni di convivenza o di intolleranza fra uomini e donne di provenienza diversa, hanno portato sotto casa le problematiche di popoli, di tradizioni e culture che, solo pochi anni fa, erano considerati estranei alla nostra vita.
Chiediamoci come questi ottocento anni da quando Francesco è partito dal porto di Ancona possono aiutarci a capire il nostro tempo su alcuni temi:
Vincere la paura
Vivere l’incontro
Aprirsi al dialogo con l’altro che è diverso
Riscoprire la fratellanza universale
Educare e costruire la civiltà della pace
Riscoprire e proporre l’ecologia ambientale e l’ecologia umana (cfr Laudato sii). (Cantico delle creature di S. Francesco)
L’uomo ha sete i di Infinito (siamo a duecento anni dall’Infinito di Leopardi).
Nostalgia delle grandi domande di senso. Oggi specialmente, la religione non è un problema ma è parte della soluzione: contro la tentazione di adagiarci in una vita piatta, dove tutto nasce e finisce quaggiù, essa ci ricorda che è necessario elevare l’animo verso l’Alto per imparare a costruire la città degli uomini
Questa sintesi ricalca tutta la Evangelii gaudium con le nuove vie di annuncio nel nostro tempo.
Anno 2019: “Ancona porta d’Oriente, con S. Francesco via della pace”
Ancona e le Marche possono in questo anno riscoprire come essere via di pace. S. Francesco ha costruito un ponte tra occidente e oriente. Ogni ponte serve per congiungere, per andare e venire, e, una volta costruito, ha bisogno di gente che lo percorra.
La nostra terra e la nostra Arcidiocesi è segnata da presenze francescane, nei luoghi nell’architettura, nell’arte, nelle vive testimonianze (In diocesi abbiamo la presenza dei Frati Francescani Conventuali ad Osimo, dei Frati Minori a Falconara e ad Osimo, una presenza alla Casa dei Frati Francescani dell’Immacolata a Campocavallo. La presenza delle Suore Francescane di Padre Guido con la mensa, la casa il Focolare con i malati di AIDS seguita dai frati minori).
Dopo quanto detto sarebbe opportuno mettere nel piano dell’offerta formativa nelle scuole dove insegnate per l’anno 2018-2019 e anche per il 2019-2020, qualche incontro che parli di questo. Si potrebbe fare nelle scuole dei diversi ordini e gradi anche un concorso che l’Ufficio scuola potrebbe promuovere. Non lasciamoci sfuggire questa occasione.
Identità e missione dell’insegnate di religione.
L’insegnante è colui che “in-signat”, termine del latino tardo del XIII sec. che ha come senso originario imprimere, dunque colui che “segna”. Per questo occorre passione, competenza, sicurezza, chiarezza interiore e convincimento personale su ciò che si vuole trasmettere, perché la propria azione sia efficace e possa avere senso. L’oggetto che si insegna passa attraverso il soggetto insegnane.
L’insegnante di religione cattolica non è uno chiamato a fare intrattenimento, o a sostituirsi agli altri docenti per le loro discipline ma è uno che insegna religione cattolica nel suo specifico.
Il docente di religione uomo di fede
Il docente di religione è chiamato a dare senso e valore al suo lavoro primariamente sul piano dell’intenzionalità educativa. Tale intenzionalità trova il suo principio e sostegno nella fede che il docente professa e vive. Gli alunni hanno diritto di incontrare in lui una personalità credente, che suscita interesse per quello che insegna, grazie anche alla coerenza della sua vita e alla manifesta convinzione con cui svolge il suo insegnamento. È un impegno che va svolto «con la solerzia, la fedeltà, l’interiore partecipazione e non di rado la pazienza perseverante di chi, sostenuto dalla fede, sa di realizzare il proprio compito come cammino di santificazione e di testimonianza missionaria» (GIOVANNI PAOLO II, Discorso al Simposio del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee sull’insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica, Roma 15 aprile 1991).
Questa nota specifica e qualificante del docente di religione caratterizza la sua stessa professionalità e comunque ne costituisce un elemento insostituibile.
Una forte carica di motivazione interiore è, del resto, propria di ogni docente, che sa bene quanto incidono sull’efficacia del suo insegnamento le motivazioni ideali e la “passione educativa” con cui svolge il suo compito nella scuola.
L’esperienza ci dice che queste motivazioni ideali sono essenziali perché l’opera del docente di religione diventi un vero fermento positivo per tutto l’ambiente scolastico, suscitando segni di novità, stimoli di cambiamento, gusto di partecipazione, che vanno oltre l’IRC e costituiscono un vantaggio per l’intero progetto educativo della scuola.
Professionalità e sue problematiche
Alla luce delle indispensabili motivazioni ideali segnaliamo alcuni tratti più significativi della figura e del compito del docente di religione cattolica, tenendo presenti i problemi che vi sono connessi. Il primo riguarda la professionalità dell’insegnante di religione. Essa esige la presenza e l’esercizio di alcune doti che sono proprie di ogni docente nella scuola: capacità progettuale e valutativa, relazionalità, creatività, apertura all’innovazione, costume di ricerca e di sperimentazione. Raggiungere traguardi di matura e comprovata professionalità è uno degli scopi primari della formazione e dell’aggiornamento dei docenti di religione che l’Ufficio Scuola della nostra Arcidiocesi porterà avanti da quest’anno e per il futuro.
L’insegnante di religione come uomo della sintesi
Professionista della scuola e riconosciuto idoneo dalla Chiesa, il docente di religione si trova sul crinale di rapporti che esigono continua ricerca di sintesi e di unità. Egli è uomo della sintesi innanzitutto sul piano della mediazione culturale, propria del suo servizio educativo. Egli deve favorire la sintesi tra fede e cultura, tra vangelo e storia, tra i bisogni degli alunni e le loro aspirazioni profonde. Il suo insegnamento esige, pertanto, una continua capacità di verificare e di armonizzare i diversi e complementari piani: teologico, culturale, pedagogico, didattico. L’opera educativa del docente di religione tende infatti a far acquisire ai giovani la capacità di accogliere criticamente i messaggi religiosi, morali e culturali che la realtà offre, aiutandoli a coglierne il senso per la vita.
Egli è chiamato a fare sintesi anche sul piano del rapporto con gli alunni. L’IRC si rivolge a tutti coloro che intendono avvalersene, senza alcuna limitazione o preclusione a priori. Ciò comporta che il docente di religione debba saper favorire un dialogo e un confronto aperti e costruttivi tra gli alunni e con gli alunni, per promuovere, nel rispetto della coscienza di ciascuno, la ricerca e l’apertura al senso religioso; e nello stesso tempo che egli sappia proporre quei punti di riferimento che permettono agli alunni una comprensione unitaria e sintetica dei contenuti e dei valori della religione cattolica, in vista di scelte libere e responsabili.
Infine il docente di religione è chiamato a un lavoro di sintesi sul piano del rapporto tra la comunità ecclesiale e la comunità scolastica: promuoverà dentro la scuola progetti educativi rispettosi della integrale formazione dell’uomo; si rivolgerà anche agli altri docenti e operatori scolastici, alle famiglie e agli alunni; sarà cosciente che per molti dei suoi alunni l’IRC si completa nell’esperienza catechistica e si confronta con essa.
Conclusioni:
- Avere chiara la propria identità
- Essere persone di fede.
- Essere docenti che vanno incontro agli alunni con tanto amore e comprensione, con la consapevolezza che vanno amati per essere educati. S. Giovanni Bosco ci ricorda che l’educazione è un fatto del cuore.
- Creare rete con gli altri docenti
- Creare rete con le famiglie
- Sentirsi mandati dalla Chiesa locale per una missione, e quella con i ragazzi e i giovani è affascinante, ma nello stesso tempo delicata e impegnativa.
- Partecipare alla vita della Diocesi, sentirsi appartenenti a una Chiesa in cammino, una chiesa viva. (Il cammino di formazione proposto dall’Ufficio scuola. In Avvento e in Quaresima verranno proposti due pomeriggi di spiritualità per i laici nel giorno della domenica, per le associazioni ecclesiali, i gruppi ecclesiali e gli insegnati di religione).
- Segnalo l’incontro in cattedrale del 13 settembre prossimo alle ore 18,00, verrà il Nunzio Apostolico in Italia, per l’imposizione del pallio all’Arcivescovo, segno di comunione con il Papa.
Come Arcivescovo vi sono sempre vicino, prego per voi e vi sostengo, unitamente all’aiuto di don Lorenzo e collaboratori dell’Ufficio Scuola. Vi consegno il messaggio per il nuovo anno scolastico e vi auguro buon anno!