L’Arcivescovo ha presieduto tre celebrazioni ricordando i fedeli defunti: a Tavernelle, ad Osimo e nella chiesa dei Padri Domenicani in Ancona. Di seguito viene riportato il testo dell’omelia:
“Cari fratelli e sorelle nella fede, siamo qui riuniti per celebrare la commemorazione dei nostri cari defunti. Ieri, solennità di tutti i santi, abbiamo levato lo sguardo in alto, alla città santa, per pregare i santi, coloro che hanno compiuto il pellegrinaggio terreno e vivono nella comunione piena con Dio.
Oggi volgiamo lo sguardo in basso, sulla città terrena per pregare per coloro “che ci hanno preceduto nel segno della fede e dormono il sonno della pace” del Signore (Dalla Liturgia).
E’ un’occasione privilegiata per unirci spiritualmente ai nostri cari e per celebrare il mistero pasquale di Cristo Signore.
I luoghi del silenzio, i cimiteri, oggi si trasformano quasi in luoghi di festa. Tanta gente percorre i viali portando fiori, lumini, accarezza le foto sulle lapidi, sosta a pregare davanti ai resti mortali dei propri cari e partecipa alla santa Messa.
I nostri cimiteri sono i luoghi ove conserviamo i resti mortali dei nostri cari in attesa della definitiva risurrezione; ma sono anche il punto di riferimento, il richiamo costante alla realtà della nostra vita che ha nella morte il suo penultimo appuntamento, perché è il passaggio obbligatorio, da cui nessuno è esente, verso l’eternità.
Il ricordo annuale dei nostri cari ci porta a pensare meglio in prospettiva di eternità e di risurrezione. La vita ultraterrena non la possiamo vedere con gli occhi del corpo. La intravediamo solo con gli occhi della fede, che illumina i passi del nostro pellegrinaggio terreno. La fede nella risurrezione dei corpi deve sorreggerci oggi con certezza incrollabile. Con la morte la vita non è tolta, ma trasformata e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno viene preparata una abitazione eterna nel cielo.
Per questo la liturgia è ancora avvolta dalla gioia della celebrazione dei Santi; la liturgia oggi non piange, perché non fa memoria della morte, ma della risurrezione. E le lacrime che versiamo dovute alla nostra fragilità umana sono asciugate dalla mano di Dio. Ascoltiamo le parole della Chiesa; essa non pronuncia parole sulla fine, ma sulla vita. La separazione dagli affetti terreni è certo dolorosa, ma non dobbiamo temerla, perché essa, accompagnata dalla preghiera di suffragio della Chiesa, non può spezzare il legame profondo che ci unisce in Cristo.
La Parola di Dio dell’odierna celebrazione, per bocca di Giobbe, evoca questa vita ultraterrena, rassicurandoci che “Dopo che questa mia pelle sarà distrutta, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, e i miei occhi lo contempleranno non da straniero (Cfr. Gb, 19, 27).
Alla luce di questa promessa, nessun uomo, per il cristiano, è abbandonato al destino. Tutti siamo figli di Dio e, come tali, siamo amati, perdonati, accolti tra le braccia del Padre. “La speranza non delude”, ci ricorda S. Paolo. Essa alimenta la fiducia in Dio Padre, “fedele in tutte le sue promesse, e santo in tutte le sue opere” (Sal 144, 13). Tutta la nostra vita è un dispiegarsi della promessa divina, che non fallisce e non inganna. Dio nella sua volontà e nel suo amore ha stabilito che Gesù Cristo, che ci ha riconciliato quando eravamo ancora deboli e peccatori, non “perda nulla di quanto egli gli ha dato, ma lo risusciti nell’ultimo giorno” (Gv 6, 38).
Papa Francesco ci ha ricordato che la Commemorazione dei defunti ha un duplice senso. Un senso di tristezza: un cimitero è triste, ci ricorda i nostri cari che se ne sono andati, ci ricorda anche il futuro, la morte; ma in questa tristezza, noi portiamo dei fiori, come un segno di speranza…la tristezza si mischia con la speranza. E questo è ciò che tutti noi sentiamo oggi, in questa celebrazione: la memoria dei nostri cari, davanti alle loro spoglie, e la speranza.
Ma sentiamo anche che questa speranza ci aiuta, perché anche noi dobbiamo fare questo cammino. Tutti noi faremo questo cammino. Prima o dopo, ma tutti. Col dolore, più o meno dolore, ma tutti. Però con il fiore della speranza, con quel filo forte che è ancorato aldilà. Ecco, quest’ancora non delude: la speranza della risurrezione.
E chi ha fatto per primo questo cammino è Gesù. Noi percorriamo il cammino che Lui ha fatto. E chi ci ha aperto la porta è Lui stesso, è Gesù: con la sua Croce ci ha aperto la porta della speranza, ci ha aperto la porta per entrare dove contempleremo Dio. «Io so che il mio Redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere … Io lo vedrò, io stesso. I miei occhi lo contempleranno e non un altro».
Torniamo a casa oggi con questa duplice memoria: la memoria del passato, dei nostri cari che se ne sono andati; e la memoria del futuro, del cammino che noi faremo. Con la certezza, la sicurezza; quella certezza uscita dalle labbra di Gesù: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà» … (Gv 11,25-26). «Io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6,40)”.
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