Si è tenuto a Colle Ameno il ritiro del Clero diocesano. Due dei giovani che si sono recati a Panama hanno comunicato ai presbiteri l’esperienza vissuta. Sono state date alcune comunicazioni da parte dei direttori degli uffici pastorali. Alcuni sacerdoti hanno riferito circa il cammino di catechesi di iniziazione cristiana nelle loro parrocchie mettendo in evidenza le luci e le ombre.
Di seguito viene riportata la meditazione dell’Arcivescovo:
“In Lui (Cristo) ci ha scelti per essere santi…” (Ef 1,4)
“ Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. [4] In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, [5] predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, [6] secondo il beneplacito della sua volontà. E questo a lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto; [7] nel quale abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia”.
Cari amici, questo testo della lettera di San Paolo Apostolo agli Efesini, che tante volte abbiamo letto e meditato, ci offre, in questa giornata di ritiro sacerdotale, tanti spunti di riflessione per la nostra vita.
C’è uno scambio di benedizioni. Noi benediciamo Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo. Lo benediciamo per tutto, perché ci ha scelti prima della creazione del mondo.
Di ogni cosa noi siamo chiamati a ringraziare Dio, per mezzo del suo Figlio Gesù.
Scriveva il card. Martini: «Fare di ogni cosa oggetto di ringraziamento, della vita e della morte: quando affermiamo una cosa simile pronunciamo parole che superano la nostra possibilità e capacità; chi di noi infatti è capace di ringraziare veramente per la morte, quando essa è non soltanto presente in una fantasia più o meno lontana, ma quando veramente ci assale, cioè “ci toglie la vita”, ciò a cui crediamo di avere più diritto di tutto? Dunque, questa possibilità di ringraziare sempre e in tutto, dobbiamo umilmente e timorosamente riconoscere che ci è data dalla bontà di Dio, che ci vuole fare suoi figli come Gesù. Possiamo sul serio avere questa speranza che non ci sarà mai tolta» .
Qui poniamoci un interrogativo: ho la consuetudine di ringraziare il Signore a partire dalla mia condizione personale e nelle condizioni concrete del mio ministero?
Nella parola ascoltata, se noi benediciamo Dio, segue la benedizione di Dio a nostro favore: “ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo”.
La benedizione di Dio a nostro favore (vv 4-5). Dio, il Padre di Gesù Cristo, fin dall’eternità (“prima della creazione del mondo”) ha fatto una scelta: andare oltre, abbattere l’incolmabile (da parte nostra) distanza tra Lui, il Creatore dell’universo e noi le sue creature, per averci di fronte/con lui come figli, come ha di fronte/con sé Gesù, il Figlio amato. Per questo da subito, senza attendere la nostra eventuale disponibilità, ci ha pre-destinati a essere suoi figli “mediante” (grazie a/come) Gesù, il “Figlio amato”. Questa condizione di figli “a immagine del Figlio amato”, rappresenta la nostra identità originaria, la ragione del nostro essere al mondo, la destinazione della nostra vita, del nostro ministero. Paolo utilizza una parola sintetica per dire tutto questo, la parola “santità” (“santi e immacolati di fronte a lui nella carità”).
Se la santità costituisce la nostra identità originaria, prima ancora che l’approdo di un cammino, il cammino verso la santità (“diventare santi”) non ha come obiettivo guadagnare una condizione che non possediamo ancora, ma conservare il dono ricevuto.
Quanto Papa Francesco scrive nell’Esortazione apostolica “Gaudete et exultate” commenta molto bene il testo paolino «Per essere santi non è necessario essere vescovi, sacerdoti, religiose o religiosi. Molte volte abbiamo la tentazione di pensare che la santità sia riservata a coloro che hanno la possibilità di mantenere le distanze dalle occupazioni ordinarie, per dedicare molto tempo alla preghiera. Non è così. Tutti siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova. Sei una consacrata o un consacrato? Sii santo vivendo con il sole dentro.
“In Lui (Cristo) ci ha scelti per essere santi…” (Ef 1,4) Vivi con gioia la tua donazione. Sei sposato? Sii santo amando e prendendoti cura di tuo marito o di tua moglie, come Cristo ha fatto con la Chiesa. Sei un lavoratore? Sii santo compiendo con onestà e competenza il tuo lavoro al servizio dei fratelli. Sei genitore o nonna o nonno? Sii santo insegnando con pazienza ai bambini a seguire Gesù. Hai autorità? Sii santo lottando a favore del bene comune e rinunciando ai tuoi interessi personali» (n 14).
Dal testo del papa, la santità è alla portata di tutti, La santità non chiede prestazioni straordinarie nella vita, ma di vivere l’ordinario della vita “con amore” (cfr GE,14). Scrive ancora papa Francesco: «In fondo, la santità è vivere in unione con Lui [Gesù] i misteri della sua vita e questo consiste nell’unirsi alla morte e risurrezione del Signore in modo unico e personale, nel morire e risorgere continuamente con Lui. Ma può anche implicare di riprodurre nella propria esistenza diversi aspetti della vita terrena di Gesù: la vita nascosta, la vita comunitaria, la vicinanza agli ultimi, la povertà e altre manifestazioni del suo donarsi per amore. La contemplazione di questi misteri, come proponeva sant’Ignazio di Loyola, ci orienta a renderli carne nelle nostre scelte e nei nostri atteggiamenti. Perché «tutto nella vita di Gesù è segno del suo mistero», «tutta la vita di Cristo è Rivelazione del Padre», «tutta la vita di Cristo è mistero di Redenzione», «tutta la vita di Cristo è mistero di ricapitolazione», e «tutto ciò che Cristo ha vissuto fa sì che noi possiamo viverlo in Lui e che Egli lo viva in noi…la santità non è altro che la carità pienamente vissuta». Pertanto, «la misura della santità è data dalla statura che Cristo raggiunge in noi, da quanto, con la forza dello Spirito Santo, modelliamo tutta la nostra vita sulla sua». Così, ciascun santo è un messaggio che lo Spirito Santo trae dalla ricchezza di Gesù Cristo e dona al suo popolo» (nn 20-21).
Dalla Gaudete et exsultate viene fuori l’imprescindibile riferimento a Gesù. La santità: è vivere con Gesù (la cura primaria e fondamentale della relazione con Lui) e vivere come Gesù (“modellare tutta la nostra vita sulla sua”). Un altro passo paolino ci guida alla comprensione di questo riferimento a Gesù: «E qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie per mezzo di lui a Dio Padre» (Col 3,17). Come intendere questo “tutto avvenga nel nome di Gesù”? Anzitutto tutto si compia per e nella grazia di Gesù, nella potenza della sua grazia (grazie a Lui). Inoltre vuol dire “per amore di Gesù”: tutto quello che compiamo nel nostro ministero è vissuto in spirito di amore, per amore di Gesù. Infine, unendosi all’azione di Gesù, alla sua offerta, alla sua preghiera, cioè come se lo facesse lui, mettendo la nostra vita nella sua.
Le nostre “occupazioni di ogni giorno”, nelle quali e grazie alle quali ci santifichiamo, sono quelle del credente-pastore, quelle cioè di una persona che ha fatto della sequela di Gesù Cristo, nella fede, l’orizzonte di senso, la “bussola” della propria esistenza e che vive concretamente questa sequela nel servizio delle persone come pastore, a immagine di Gesù pastore buono che dona la propria vita per le pecore. Sequela di Gesù e servizio pastorale delle persone non sono prestazioni parallele, ma in stretto collegamento tra loro, tanto che si alimentano a vicenda, in quanto entrambe partono da Gesù, da Gesù si lasciano ispirare e a Lui conducono.
Nasce allora la domanda: Tutto quello che sto compiendo nel mio ministero ha nella grazia di Gesù il suo punto di forza, nell’amore per Lui la sua motivazione, nella sintonia con Gesù il suo stile?
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