In questo Anno francescano per la nostra Arcidiocesi di Ancona-Osimo, che ricorda gli ottocento anni da quando San Francesco partì dal porto di Ancona per l’Oriente, dove incontrò il Sultano, ho desiderato vivamente partecipare all’incontro dei vescovi riuniti a Bari nei giorni 22 e 23 febbraio 2020.
Il tema di grande spessore “Mediterraneo, frontiera di Pace” ci ha portato a condividere attese e speranze di concordia e di dialogo, ad ascoltare e celebrare con Papa Francesco, con un impegno di essere sempre artigiani della pace attraverso iniziative di educazione e di formazione in modo particolare nelle nostre comunità ecclesiali.
Le giornate, intense e partecipate, hanno dato il via a uno stile nuovo di dialogo, accoglienza e sostegno tra le comunità.
Nel riferire a Papa Francesco le conclusioni dei lavori dei 58 vescovi delle 20 Chiese del Mediterraneo, monsignor Pierbattista Pizzaballa, ha ricordato come “le comunità cristiane non smettono di costruire vie alternative di pace e testimonianza, del nostro stile cristiano di stare dentro la realtà ponendo al centro la persona”. Si inaugura dunque una nuova linea sinodale come ha ricordato il presidente della Cei, cardinale Gualtiero Bassetti: “Cerchiamo i segni dei tempi nelle parole e nella testimonianza offerta dalla storia di ciascuno. Esperienze che contribuiscono a rendere viva e preziosa l’esperienza della comunione”.
Nell’appartenenza alla comune radice di Abramo “i popoli dei Paesi rivieraschi condividono una visione della vita e dell’uomo che, nonostante le differenze, è aperta ai valori della trascendenza”, ha ricordato il presidente della Cei. L’assemblea fortemente voluta da Papa Francesco ha voluto, secondo il pensiero di Bassetti, quasi celebrare la sacralità della vita umana “ma anche la sua intangibilità”.
Entra nel concreto il presidente della Conferenza Episcopale della Bosnia-Erzegovina Vinko Puljić quando riassume lo sforzo di questi giorni nell’aver cercato strumenti di “mobilità, uguaglianza e libertà religiosa in tutti i Paesi del nostro Mediterraneo”, ha detto rivolgendosi al Santo Padre. I vescovi si sono quindi fatti “voce del dolore e della sofferenza delle nostre Chiese e dei nostri popoli a causa delle ferite causate in gran parte dai Paesi ricchi”. Ferite che portano al dramma della partenza di tanti giovani.
“Il Mediterraneo da secoli è al centro di scambi culturali, commerciali e religiosi di ogni tipo, ma è anche stato teatro di guerre, conflitti e divisioni politiche e anche religiose”. Lo ha detto mons. Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico “sede vacante” del Patriarcato latino di Gerusalemme, “Nel presente, anziché diminuire, tutto ciò sembra aumentare”, la denuncia del presule: “Guerre commerciali, fame di energia, disuguaglianze economiche e sociali hanno reso questo bacino centro di interessi enormi. Il destino di intere popolazioni è asservito all’interesse di pochi, causando violenze che sono funzionali a modelli di sviluppo creati e sostenuti in gran parte dall’Occidente. Nel passato anche le Chiese – basti pensare al periodo coloniale – sono state funzionali a tale modello. Oggi desideriamo chiedere perdono, in particolare, per aver consegnato ai giovani un mondo ferito”. “Le nostre Chiese del Nord Africa e del Medio Oriente sono quelle che pagano il prezzo più alto”, l’analisi di Pizzaballa: “Decimate nei numeri, rimaste piccola minoranza, non sono però Chiese rinunciatarie. Al contrario, hanno ritrovato l’essenziale della fede e della testimonianza cristiana. Sono comunità che anche a fronte di enormi difficoltà e addirittura di persecuzioni, sono rimaste fedeli a Cristo”. “Al riguardo, pensiamo in particolare al destino di migliaia di migranti, che fuggono da situazioni di persecuzione e di povertà e che hanno cambiato il volto di molte delle nostre Chiese”, l’esempio scelto da Pizzaballa: “Le Chiese del Medio Oriente e del Nord Africa hanno più volte ribadito che non hanno bisogno solo di aiuti economici, ma innanzitutto di solidarietà, di sentirsi ascoltate, che qualcuno faccia propria la loro difficile realtà, dove però vi è anche la luce di tante testimonianze di fedeltà e di solidarietà umana e cristiana”.
Ma il racconto dei vescovi ha consegnato Chiese che non vogliono arrendersi vivendo la fede e la testimonianza cristiana. E che si sono impegnati a istituire comitati interreligiosi “soprattutto con i credenti musulmani per realizzare insieme opere di solidarietà. Vogliamo diventare un’unica voce profetica di verità e libertà”. Realizzare dunque una vera accoglienza è la strada da perseguire “innanzitutto tra noi. Vogliamo farci carico delle contraddizioni di quest’area, imparando e insegnando a viverla con speranza cristiana. Per questo abbiamo deciso di continuare a incontrarci stabilmente, per poter costruire un percorso comune dove far crescere nei nostri contesti feriti una cultura di pace e comunione”.
L’arcivescovo di Algeri, monsignor Paul Desfarges, presidente della Conferenza Episcopale Regionale del Nordafrica, ha ringraziato il Santo Padre. “Attorno al Mar Mediterraneo – ha detto il presule – le nostre Chiese e i nostri popoli si trovano di fronte a sfide molto grandi, che sono poi quelle del nostro mondo di oggi: la sfida dell’accoglienza dei migranti, la sfida del dialogo interreligioso, la sfida dell’ecologia”. “Non c’è futuro nella chiusura su di sé e nei ripiegamenti nazionalistici”. “In tutto il mondo, anche nel Maghreb da dove vengo, a maggioranza musulmana, i suoi gesti e le sue parole sono ascoltati”.
Le parole del Papa sono, poi, andate dritte al cuore. La guerra è una follia a cui non ci si può rassegnare mai, non alzare muri e non accettare che si possa morire in mare senza soccorso.
I cristiani sono chiamati ad essere “instancabili operatori di pace” nel Mare nostrum, lacerato da divisioni e diseguaglianze. La strada perché il Mediterraneo sia un luogo di pace è, infatti, quella del dialogo, della convivialità e dell’accoglienza, non dell’indifferenza o della paura che porta ad alzare difese “davanti a quella che strumentalmente viene dipinta come un’invasione”. La bussola che indica è quella ricerca del bene comune che è “un altro nome della pace”, un impegno che non può essere disgiunto dall’annuncio del Vangelo. Pertanto, il Papa chiede ai cristiani di custodire il patrimonio della fede, e anche della pietà popolare, esperienza irrinunciabile, dice richiamandosi alla Evangelii nuntiandi di Paolo VI che cambiò il nome da religiosità a pietà. Da proteggere anche il patrimonio artistico che unisce contenuti della fede e la bellezza dell’arte, attraendo milioni di visitatori. Il Papa indica che un altro nome della pace è quello del bene comune. “È una pazzia alla quale non ci possiamo rassegnare: mai la guerra potrà essere scambiata per normalità o accettata come via ineluttabile per regolare divergenze e interessi contrapposti. Mai. Il fine ultimo di ogni società umana rimane la pace, tanto che si può ribadire che «non c’è alternativa alla pace, per nessuno». Non c’è alcuna alternativa sensata alla pace, perché ogni progetto di sfruttamento e supremazia abbruttisce chi colpisce e chi ne è colpito, e rivela una concezione miope della realtà, dato che priva del futuro non solo l’altro, ma anche se stessi. La guerra appare così come il fallimento di ogni progetto umano e divino”. Quindi, a braccio, sottolinea “il grave peccato” di “grande ipocrisia”, quando nelle convenzioni internazionali, tanti Paesi “parlano di pace e poi vendono le armi ai Paesi che stanno in guerra”.
il Papa chiede di non chiudersi in un atteggiamento di “indifferenza” o perfino di “rifiuto”, che fa pensare all’atteggiamento, stigmatizzato in molte parabole evangeliche, di chi si chiude nella propria ricchezza senza accorgersi di chi invoca aiuto:
“Si fa strada un senso di paura, che porta ad alzare le proprie difese davanti a quella che viene strumentalmente dipinta come un’invasione. La retorica dello scontro di civiltà serve solo a giustificare la violenza e ad alimentare l’odio. L’inadempienza o, comunque, la debolezza della politica e il settarismo sono cause di radicalismi e terrorismo”.
Certo, l’accoglienza e una dignitosa integrazione sono tappe di un processo non facile; tuttavia, è impensabile poterlo affrontare innalzando muri. A me fa paura quando ascolto qualche discorso di alcuni leader delle nuove forme di populismo e mi fa sentire discorsi che seminavano paura e poi odio nella decade del ’30 del secolo scorso. Questo processo di accoglienza e dignitosa integrazione è impensabile, ho detto, poterlo affrontare innalzando muri.
Francesco ricorda, infatti, che il Mediterraneo è il “mare del meticciato”, sempre aperto all’incontro e al dialogo. “Le purezze delle razze non hanno futuro”, sottolinea. “Non lasciamo che a causa di uno spirito nazionalista” – raccomanda – si diffonda la persuasione che “siano privilegiati gli Stati meno raggiungibili e geograficamente più isolati”. E se si costruisce un’accoglienza non superficiale, promossa da chi fa politica e cultura, allora i giovani possono essere capaci di generare futuro.
La sua esortazione centrale è quella di ricostruire nella direzione della vita.
Ecco l’opera che il Signore vi affida per questa amata area del Mediterraneo: ricostruire i legami che sono stati interrotti, rialzare le città distrutte dalla violenza, far fiorire un giardino laddove oggi ci sono terreni riarsi, infondere speranza a chi l’ha perduta ed esortare chi è chiuso in sé stesso a non temere il fratello e guardare questo già divenuto cimitero come un posto di futura resurrezione di tutta l’area.
Prima della concelebrazione eucaristica in Corso Vittorio Emanuele, il saluto del Papa all’uscita della Basilica a quanti sono in attesa nella piazza antistante. “Le preghiere sono proprio la forza, la forza di una comunità cristiana. I Pastori pregano, però devono lavorare in questi giorni di riflessione. Ma si sono sentiti accompagnati e sicuri con le vostre preghiere. Io ringrazio tanto di questo lavoro, di questo apostolato di pregare, pregare per la Chiesa. Non dimenticatevi: pregare per la Chiesa, per i Pastori… E nei momenti brutti si prega ancora di più, perché deve venire il Signore sempre a risolvere i problemi”.
L’incontro a Bari segna il cammino della storia sulla via della pace.