In questi giorni di emergenza sanitaria, sono preziosi la vicinanza, il sostegno e il conforto dei cappellani degli ospedali, situati nel territorio dell’Arcidiocesi di Ancona-Osimo. Stando accanto ai malati e al personale sanitario, anche con i Sacramenti, i cappellani ospedalieri sono segno della presenza di Dio vicino alle persone e vivono ciò che ha chiesto papa Francesco.
«In questi giorni ci uniamo agli ammalati, alle famiglie, che soffrono questa pandemia. E vorrei anche pregare oggi per i pastori – ha detto il Papa – che devono accompagnare il popolo di Dio in questa crisi. Che il popolo di Dio si senta accompagnato dai pastori e dal conforto della Parola di Dio, dei sacramenti e della preghiera». Questo è l’invito di papa Francesco e i cappellani ospedalieri stanno mostrando la propria vicinanza, in particolare ai malati. Ad esempio, nell’ospedale regionale di Torrette dove ci sono tanti pazienti positivi al Covid-19 e il personale sanitario lavora senza sosta, è fondamentale il sostegno spirituale dei cappellani, di padre Enrico, padre Giovanni e padre Stefano.
«Viviamo questa emergenza stando accanto ai malati – racconta padre Enrico Matta, cappellano dell’ospedale regionale di Torrette – ma anche ai medici e agli infermieri. La comunione continuiamo a portarla nei reparti e siamo disponibili alle confessioni. Chiedono di potersi confessare anche gli infermieri e il personale sanitario e ascoltiamo le persone che hanno bisogno».
«Sono stato chiamato anche nella clinica di rianimazione – continua padre Enrico – per dare il sacramento dell’unzione degli infermi ad un paziente positivo al Covid—19. Chiaramente mi hanno bardato con tuta, guanti e mascherine, per entrare nel reparto. Continuiamo quindi a svolgere il nostro servizio perché i malati hanno bisogno anche del sostegno spirituale, oltre che di quello medico. Siamo dei pastori e siamo chiamati a stare vicino alle persone, anche dando la vita. Numerosi santi che la Chiesa ha canonizzato dimostrano questo, ad esempio san Carlo Borromeo era giovane e aveva tutta la vita davanti, ma quando c’è stata la peste a Milano è stato il primo ad assistere gli appestati».