Il 3 ottobre si è snodata, nel grande piazzale della Basilica di S. Maria degli Angeli, la processione con i Vescovi della Marche, le Autorità della Regione Marche, i Sindaci dei Comuni e i tanti fedeli. In Basilica sono stati celebrati i primi vespri del transito di S. Francesco. Al termine l’arcivescovo di Ancona-Osimo, nella chiesetta della Porziuncola, ha benedetto una pianta di ulivo offerta dall’Assam, Coldiretti e Camera di Commercio delle Marche, che verrà messa a dimora per ricordare l’evento che ha visto come protagonista la Regione Marche per l’offerta dell’olio per la lampada di S. Francesco.
Di seguito viene riportata l’omelia dell’arcivescovo Angelo durante i Vespri.
Eminenze, Eccellenze, Ministri Generali e Provinciali delle Famiglie Francescane, Sacerdoti, Diaconi, Religiosi, Religiose, Autorità, Cari fratelli e sorelle,
siamo in questo luogo così caro a San Francesco dove sostava in preghiera, da dove inviò i primi frati ad annunciare il Vangelo e la pace, dove ricevette il cosiddetto perdono di Assisi, dove diede l’ultimo respiro il giorno del pio transito.
Siamo pellegrini, provenienti da luoghi diversi, in tanti provenienti dalla Regione Marche, nella ricorrenza dell’offerta dell’olio per la lampada di San Francesco, siamo qui per gustare e vedere quanto è buono il Signore.
Il nostro è un cammino di speranza e arriva in un momento particolare, il tempo della pandemia, un tempo che ci fa vivere distanziati, con le mascherine, con il dolore nel cuore per la sofferenza e per la morte di milioni di persone in tutto il mondo e per la perdita di propri cari.
Dentro un tempo così ferito, così insicuro, instabile, dove “sorella morte”, come la chiamava San Francesco, ha creato intorno a noi uomini di questo tempo tanta paura, arriva un messaggio di speranza con quell’espressione bellissima di San Francesco: “Voglio mandarvi tutti in Paradiso” (FF 2706/11).
Questo significa che la vita non ha una scadenza, la vita non è come un prodotto, dove c’è un inizio e una fine: c’è un inizio e c’è un compimento che è la vita eterna, che è il paradiso, quindi non si conclude tutto qui, anzi, c’è una riapertura alla vita, nello specifico, alla vita eterna, come ci ha ricordato san Paolo nella lettera ai Filippesi che abbiamo ascoltato: “Per me infatti vivere è Cristo e il morire un guadagno”.
Gesù ha detto: <<Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore… Vado a prepararvi un posto>> (Gv 14,2). “Ecco che cosa ha fatto Gesù per noi: ci ha prenotato un posto in Cielo. Ha preso su di sé la nostra umanità per portarla oltre la morte, in un posto nuovo, in Cielo, perché lì dove è Lui fossimo anche noi.
E’ la certezza che ci consola: c’è un posto riservato per ciascuno. C’è un posto anche per me, per te. Ognuno di noi può dire: c’è un posto per me. Non viviamo senza meta e senza destinazione. Siamo attesi, siamo preziosi. Dio è innamorato di noi, siamo i suoi figli. E per noi ha preparato il posto più degno e bello: il Paradiso. Non dimentichiamolo: la dimora che ci attende è il Paradiso. Qui siamo di passaggio. Siamo fatti per il Cielo, per la vita eterna, per vivere per sempre. Per sempre: è qualcosa che ora non riusciamo neppure ad immaginare. Ma è ancora più bello pensare che questo per sempre sarà tutto nella gioia, nella comunione piena con Dio e con gli altri, senza più lacrime, senza rancori, senza divisioni e turbamento”. (Papa Francesco. Regina Coeli, Biblioteca del Palazzo Apostolico Domenica, 10 maggio 2020).
Ma come raggiungere il Paradiso? Quale è la via? Gesù lo dice chiaramente: <<Io sono la via>>. Per salire in Cielo la via è Gesù: avere un rapporto vivo con Lui, imitarlo nell’amore, seguire i suoi passi. Ci sono vie che non portano in Cielo: le vie della mondanità, le vie per autoaffermarsi, le vie del potere egoista.
E c’è la via di Gesù, la via dell’amore umile, della preghiera, della mitezza, della fiducia, del servizio agli altri. Non è la via del protagonismo personale quella giusta, ma è la via di Gesù che diventa protagonista della nostra vita se ci fidiamo, affidiamo e confidiamo il Lui. Ci farà bene chiedere a Gesù, che è la via, le indicazioni per il Cielo.
Quando al catechismo ci venivano insegnati i novissimi: morte, giudizio, inferno e paradiso ci veniva dato anche un consiglio spirituale, quello di prepararsi all’evento finale, di esercitarsi a morire, non in una visione doloristica e funerea ma come incontro con il volto di Dio, tanto cercato in vita.
Per un cristiano la morte non deve essere un evento passivo ma deve diventare un atto consapevole. Nella fede occorre poter dire al Signore: “Padre, quella vita che tu mi hai dato e per la quale ti ringrazio, te la rendo puntualmente, te la offro in sacrificio vivente (cf. Rm 12,1), sperando solo nella tua misericordia”. In tal modo la morte diventa un atto, e così si muore nell’obbedienza dicendo nel proprio cuore: “Parto, vado al Padre, nel nome del Padre che mi ha creato, nel nome del Figlio che mi ha redento, nel nome dello Spirito santo che mi ha santificato”. La vita è un dono di Dio, anzi è il dono di Dio per eccellenza, e questo dono va riconosciuto e ridato a colui che ci è Padre.
Nessuno di noi può prevedere la propria morte, se improvvisa o dopo una lunga malattia, se nella pace e nella dolcezza di chi muore senza gravi sofferenze fisiche. Non è un caso che nella preghiera più semplice e più conosciuta, l’Ave Maria, si chiede: “Prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte”. Pensare di avere chi nella morte intercede per noi come una madre e intercede presso il Cristo che incontriamo è un buon esercizio per sentire la morte come sorella e lodare Dio “per sora nostra morte corporale” che ci spalanca la porta alla vita eterna, all’Amore più grande e più forte. Cristo con la Sua risurrezione ha vinto la morte, lui è vivo, è il vivente, è Lui la nostra unica speranza. Amen.