In occasione della 33esima Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei, lunedì 17 gennaio si è tenuto un incontro presso la Facoltà di Economia ad Ancona, a cui hanno partecipato Mons. Angelo Spina, Arcivescovo Metropolita di Ancona-Osimo, e il prof. Vittorio Robiati Ben Daud, coordinatore del Tribunale Rabbinico del Centro-Nord Italia, che hanno parlato della lettera agli esiliati (Ger 29,1-23) del profeta Geremia. La lettera è stata scelta dalla Commissione episcopale per l’Ecumenismo e il dialogo della Cei, in quanto è sembrata particolarmente in sintonia con il tempo complesso che stiamo attraversando a causa della pandemia. Sono infatti due i rischi che correva il popolo durante l’esilio, che in sostanza sono gli stessi che corre ancora oggi in questo tempo di pandemia mondiale che stiamo vivendo: perdere ogni speranza nel futuro, ma anche costruire una comunità chiusa, prigioniera dell’autoreferenzialità. Mons. Angelo Spina e il prof. Vittorio Robiati Ben Daud hanno dunque sottolineato che è necessario non perdere la speranza.
«Il profeta Geremia scrive all’indomani di una catastrofe, – ha detto il prof. Vittorio Robiati Ben Daud – ovvero la prima diaspora, la distruzione del primo santuario di Gerusalemme. Lì si introduce la categoria dell’esilio che non è una punizione, ma una promessa di redenzione che richiede di passare per una via strettissima e di ritornare all’essenziale. Geremia ci insegna che è necessario non perdere la speranza. Se noi manteniamo l’amore per Dio, e quindi quello per il prossimo, possiamo sopravvivere in esilio e, quindi, anche durante il difficile tempo della pandemia». All’inizio del suo intervento, Mons. Angelo Spina ha ringraziato don Valter Pierini, direttore dell’Ufficio diocesano per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, l’Amicizia ebraico-cristiana di Ancona per aver organizzato l’incontro, il prefetto Darco Pellos e il Rettore dell’Univpm Gian Luca Gregori che ha ricordato come «l’Università sia un luogo di dialogo, incontro e cultura». Durante la sua relazione, l’Arcivescovo ha sottolineato che «purtroppo in questo tempo assistiamo ancora a deprecabili manifestazioni di cancellazione della memoria e di odio contro gli ebrei. Questa Giornata per i cristiani è un’importante occasione per curare il rispetto, il dialogo e la conoscenza della tradizione ebraica».
Parlando della lettera di Geremia, ha spiegato che «il Signore invita gli esuli a costruire case e ad abitarle, a coltivare la terra, a prendere moglie e a mettere al mondo figli, a cercare il benessere del paese in cui erano giunti, a pregare per esso perché dal suo benessere dipendeva il loro benessere. Nel tempo difficile dell’esilio, bisogna saper guardare avanti e non perdere la speranza o chiudersi in se stessi. Anche questo tempo, in un certo senso, è un esilio forzato a causa della pandemia, e dobbiamo andare avanti con fiducia e speranza. Geremia ci invita a “stare positivamente dentro la realtà”, a mettere radici e a starci in modo “generativo”. Ecco la sfida per le religioni: uscire dal rischio della “depressione” e dell’autoreferenzialità difensiva per essere generative, capaci di lavorare per la costruzione della società e generare speranza. Come cristiani e come ebrei possiamo aiutarci ad affrontare tale sfida, perché la Promessa di Dio resta costante nella storia. Il Signore lavora per “rigenerare”, per “far ricominciare”. E oggi quanto è necessario rigenerare le relazioni. Ogni crisi è una buona occasione, un tempo favorevole da “non sprecare”: essere seminatori di speranza. Gli esiliati si danno da fare per il paese, lavorano, investono energie per la terra, persino pregano il Signore per il benessere di quel paese. Questo ci ricorda che “colui che viene da fuori”, l’ospite e lo straniero, è una risorsa per il paese; che lo straniero è una benedizione e che l’ospitalità, così centrale nelle tradizioni ebraica e cristiana, può essere lo “stile” con cui oggi i credenti stanno nella storia e animano la società».
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