Fra Francesco Baldelli, nato a Falconara Marittima è stato ordinato sacerdote dall’Arcivescovo Angelo nella chiesa di S. Antonio di Padova a Falconara Marittima. All’ordinazione erano presenti: P. Alard, Provinciale della Provincia dei Frati Minori S. Edvige in Polonia, P. Simone della Provincia Picena, diversi frati e i sacerdoti di Falconara. La chiesa era gremita di fedeli, al primo banco i genitori di Fra Francesco, i due fratelli e la sorella. Una celebrazione vissuta nel silenzio, nel raccoglimento e nella gioia. Al termine i presenti si sono stretti a Fra Francesco per fargli gli auguri.
Di seguito viene riportata l’omelia dell’Arcivescovo:
Cari religiosi, sacerdoti, fratelli e sorelle siamo qui, convocati dall’amore di Dio, per accogliere la Sua Parola e il dono dell’Eucaristia, nella gioia del Signore, nel giorno in cui Lui dona alla Sua Chiesa un nuovo presbitero nella persona di Fra Francesco Baldelli dell’Ordine dei Frati Minori della Provincia di Santa Edvige in Polonia.
Facciamo nostre le parole della prima lettura presa dal libro del profeta Isaia:” Io gioisco pienamente nel Signore, la mia amina esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti di salvezza”.
Oggi è la memoria del Cuore immacolato di Maria. Nel Vangelo che abbiamo ascoltato ci viene presentata una scena che commuove e sorprende.
A Gerusalemme viene celebrata la Pasqua. Maria e Giuseppe portano Gesù a vivere il grande momento di preghiera e di gioia al Tempio. Che bella famiglia, unita, in cammino, sempre fedele alla legge di Dio! Gesù è cresciuto e ora cammina con i suoi piedi di ragazzo, porta avanti le sue decisioni, non è più un bambino.
Di ritorno da Gerusalemme, all’insaputa dei genitori, Gesù non si unisce al gruppo degli uomini, né a quello delle donne, ma resta nel Tempio. A sera, quando le due carovane, quella degli uomini e quella delle donne, si incontrano per formare un unico gruppo, Maria e Giuseppe scoprono l’amara sorpresa: Gesù non c’è, non si trova. Sale l’ansia, l’angoscia si stampa sui loro volti. Maria e Giuseppe vanno anzi corrono alla ricerca del figlio con il cuore in gola. Lo cercano, chiedono informazioni, ma non lo trovano. Tutto diventa amaro, sono avvolti dal buio totale. Pensieri cupi si rincorrono nella mente: dov’è? cosa gli sarà successo? Una pena nel cuore della madre e di Giuseppe. L’affanno cresce, vanno al Tempio e finalmente lo trovano lì, tranquillo e sicuro tra i dottori della legge. Gli occhi di Maria si riempiono di lacrime, ma sono lacrime di gioia e Giuseppe ritrova la serenità. Maria non rimprovera il figlio, ma non può non dirgli le parole che escono dal suo cuore provato dalla paura dello smarrimento:<<Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo>>. Gesù l’ascolta e risponde: <<Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?>>.
Gesù sa di aver dato un dispiacere ai suoi, ma egli deve restare fedele al Padre suo, compiere la missione affidatagli di salvare l’umanità. Maria e Giuseppe non comprendono le parole di Gesù, le accolgono però con fede. Credono. Si lasciano condurre per strade che non capiscono. Maria si trova davanti al mistero di suo Figlio che non è suo, e che deve fare la volontà del Padre. Maria crede, è la fede che fa scomparire l’angoscia.
Gesù se lo sono perso Maria e Giuseppe. Il Vangelo non tace questo episodio forse perché vuole rassicurare ciascuno di noi sulla possibilità molto concreta di dare per scontato che Gesù sia nella carovana della nostra vita, quando invece non c’è. Ma ciò che conta non è perderlo di vista, ma mettersi a cercarlo. Non si può chiedere al cuore di una madre di non soffrire. Non si può chiedere al cuore di una madre di non mettersi sulle tracce del figlio. Non si può chiedere al cuore di una madre di non sentirsi profondamente legata al destino del figlio. Maria è così ha un cuore di Madre. Ma la buona notizia è che il suo cuore di madre non è solo per Gesù ma per ciascuno di noi, perché è anche madre nostra donataci da Gesù. Noi siamo amati da una madre che non si arrenderà finché non ci avrà ritrovati, finché non ci avrà riportati al sicuro. Ma siamo anche discepoli di un Maestro che ci chiede di non perderlo di vista semplicemente perché dobbiamo andare noi dietro a Lui e non Lui dietro a noi.
Carissimo Fra Francesco il tuo cammino vocazionale, che ha seguito vie misteriose, da Falconara alla Polonia, ora è giunto il momento culminate in cui pronuncerai le parole “Sì, lo voglio”, è il tuo donarti a Cristo e alla Sua Chiesa: la tua diventa così una vita sacerdotale. Quello che ti viene chiesto è espresso chiaramente nella preghiera di ordinazione presbiterale: annunciare la Sua la Parola, celebrare la Santa Eucarestia, pregare la Liturgia delle Ore a favore di tutti, implorare misericordia per il popolo a te affidato, soprattutto con il sacramento della riconciliazione, essere segno di carità, vivere la comunione con tutti i fratelli sacerdoti unito ai tuoi Superiori e al Vescovo.
La nostra vocazione è prima di tutto una risposta a Colui che ci ha amato per primo (cfr 1 Gv 4,19 e che ti ha fatto sentire la sua voce amica:<<Tu lascia tutto e seguimi>>, così come avvenne per Francesco d’Assisi che lasciò tutti i suoi beni, ciò che aveva di più caro e seguì Cristo, povero, obbediente e casto.
Chiamandoci a sé Dio ci vuole vicini, ci vuole suoi. Papa Francesco nel discorso ai partecipanti al Simposio “Per una teologia fondamentale del sacerdozio, il 17 febbraio 2022” ha sviluppato il tema della vicinanza.
La prima è la vicinanza a Dio. Cioè vicinanza al Signore delle vicinanze. «Io sono la vite, voi i tralci – questo è quando Giovanni nel Vangelo parla del “rimanere” –. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla… Un sacerdote è invitato innanzitutto a coltivare questa vicinanza, l’intimità con Dio, e da questa relazione potrà attingere tutte le forze necessarie per il suo ministero. Il rapporto con Dio è, per così dire, l’innesto che ci mantiene all’interno di un legame di fecondità. Senza una relazione significativa con il Signore il nostro ministero è destinato a diventare sterile… Senza l’intimità della preghiera, della vita spirituale, della vicinanza concreta a Dio attraverso l’ascolto della Parola, la celebrazione eucaristica, il silenzio dell’adorazione, l’affidamento a Maria, l’accompagnamento saggio di una guida, il sacramento della Riconciliazione, senza queste “vicinanze” concrete, un sacerdote è, per così dire, solo un operaio stanco che non gode dei benefici degli amici del Signore.
La seconda vicinanza è ai superiori e al vescovo per vivere nella Chiesa in comunione obbediente. L’obbedienza non è un attributo disciplinare ma la caratteristica più forte dei legami che ci uniscono in comunione. Obbedire, in questo caso al vescovo, significa imparare ad ascoltare e ricordarsi che nessuno può dirsi detentore della volontà di Dio, e che essa va compresa solo attraverso il discernimento. L’obbedienza quindi è l’ascolto della volontà di Dio che si discerne proprio in un legame… Il vescovo non è un sorvegliante di scuola, non è un vigilatore, è un padre, e dovrebbe dare questa vicinanza. Il vescovo, chiunque egli sia, rimane per ogni presbitero e per ogni Chiesa particolare un legame che aiuta a discernere la volontà di Dio. Se difenderemo questo legame procederemo sicuri nel nostro cammino.
La terza vicinanza è quella tra i presbiteri. È proprio a partire dalla comunione con il vescovo che si apre la terza vicinanza, che è quella della fraternità. Gesù si manifesta lì dove ci sono dei fratelli disposti ad amarsi: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20). Anche la fraternità come l’obbedienza non può essere un’imposizione morale esterna a noi. Fraternità è scegliere deliberatamente di cercare di essere santi con gli altri e non in solitudine, santi con gli altri. Un proverbio africano, che conoscete bene, dice: “Se vuoi andare veloce, vai da solo; se vuoi andare lontano, vai con gli altri”. Tutti sappiamo quanto può essere difficile vivere in comunità– qualche santo diceva: la vita comunitaria è la mia penitenza –, quanto è difficile condividere il quotidiano con coloro che abbiamo voluto riconoscere come fratelli. L’amore fraterno, se non vogliamo edulcorarlo, accomodarlo, sminuirlo, è la “grande profezia” che in questa società dello scarto siamo chiamati a vivere.
La quarta vicinanza è al popolo di Dio. Una vicinanza che, arricchita con le “altre vicinanze”, le altre tre, invita – e in una certa misura lo esige – di portare avanti lo stile del Signore, che è stile di vicinanza, di compassione e di tenerezza, perché capace di camminare non come un giudice ma come il Buon Samaritano, che riconosce le ferite del suo popolo, la sofferenza vissuta in silenzio, l’abnegazione e i sacrifici di tanti padri e madri per mandare avanti le loro famiglie, e anche le conseguenze della violenza, della corruzione e dell’indifferenza, che al suo passaggio cerca di mettere a tacere ogni speranza. Vicinanza che permette di ungere le ferite e proclamare un anno di grazia del Signore (cfr Is 61,2). È decisivo ricordare che il Popolo di Dio spera di trovare pastori con lo stile di Gesù, che sappiano di compassione, di opportunità; uomini coraggiosi, capaci di fermarsi davanti a chi è ferito e di tendere la mano; uomini contemplativi che, nella vicinanza al loro popolo, possano annunciare sulle piaghe del mondo la forza operante della Risurrezione.
Caro fra Francesco, il Signore ti chiama a seguirlo e questo comporta delle rinunce, rinunce che non vanno fatte con atto volontaristico e forzato. L’ Odissea di Omero ci ricorda che Ulisse, per resistere al canto ammaliante delle sirene, si fece legare dall’equipaggio della sua nave e ordinò ai suoi compagni di tapparsi le orecchie. Ma in un altro racconto della letteratura greca apprendiamo che Orfeo, il musico divino, vedendo il pericolo delle sirene, affinché i marinai non udissero le loro insidiose canzoni prese a suonare la sua lira e la melodia di Orfeo era così superiore che tutti accorsero per ascoltarla. Dio non toglie, Dio non impone, Dio dà di più e per questo è possibile, con la grazia di Dio, vivere poveri, casti e obbedienti.
Il popolo di Dio si aspetta tanto dal sacerdote. Il frate, il sacerdote è l’uomo del dono, del dono di sé, ogni giorno senza ferie, senza sosta. Perché la vita di un sacerdote non è una professione ma una donazione, non un mestiere, ma una vocazione, non è lavoro, ma missione.
Caro Fra Francesco, mentre ti prepari a ricevere l’ordine del presbiterato, desidero ringraziare vivamente la tua famiglia, il tuo papà, la tua mamma, i fratelli e la sorella, la comunità parrocchiale di Falconara dove sei cresciuto, l’Ordine dei Frati Minori che ti hanno accolto e curato lungo tutto il cammino vocazionale.
Preghiamo oggi perché il Signore non solo mandi operai nella sua messe, ma ci renda degni di ricevere i pastori, dono del suo amore.
Caro Fra Francesco, i santi: Francesco, Chiara, Antonio e tutti quelli dell’Ordine Francescano vigilino su di te. Trova sempre rifugio e conforto nel Cuore Immacolato della Vergine Maria che si è fatta attenta discepola del suo Figlio e lo ha seguito con amore totale e fedele, sino alla fine, ti custodisca e ti protegga nel cammino sacerdotale. Amen.