Oggi abbiamo bisogno di pace, la cerchiamo, la invochiamo, preghiamo insistentemente, ma le guerre continuano a seminare morti, sofferenze e lutti, in Europa, nel Medio Oriente, nella Terra Santa, nel mondo. Vediamo continui orrori contro Dio e contro gli uomini, ne restiamo inorriditi. “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama”(Lc 2,14). É l’annuncio che gli angeli portano ai pastori a Betlemme. Annunciano che è nato il Salvatore, colui che porta a tutti gli uomini il dono della pace.
La pace è il sogno dell’umanità, ma non la realtà, è il desiderio di tutti, ma non l’esperienza. In questo Natale, più che mai è necessario che torniamo a Betlemme dove gli angeli hanno annunciato: “Pace agli uomini, che Dio ama”, è lì, dove il Figlio di Dio è nato che troviamo l’accorato invito a diventare costruttori di pace, seminatori di perdono, strumenti di riconciliazione e non di divisione. L’esperienza ci dice che ogni uomo, ognuno di noi, vive momenti di solitudine, di povertà umana, di difficoltà, di sofferenza, di incomprensione, di paure. Gesù, nato a Betlemme, è Dio che si fa uomo, è l’Emmanuele, cioè il Dio con noi, perché solo Lui può portare la luce vera nel buio della vita, solo Lui, nella notte fredda può sciogliere il ghiaccio per riscaldare le notti fredde e pungenti dell’uomo.
Il Bambino, nato per noi, porta il dono prezioso della pace, di cui abbiamo tanto bisogno. La sua pace non è violenta, mai armata, ma è la pienezza di tutti i doni che porta all’umanità. Non abituiamoci alle guerre, tragedie per l’umanità. Non dobbiamo per nessuna ragione al mondo, assuefarci davanti a tutto ciò, quasi dando per scontata questa terza guerra mondiale a pezzi, come la chiama Papa Francesco, che è drammaticamente diventata, sotto i nostri occhi, una terza guerra mondiale totale. Nei nostri cuori, davanti al presepe che allestiamo nelle nostre case, preghiamo per la pace, facciamolo con tutta la famiglia. Lavoriamo per la pace. Lasciamoci guidare da S. Francesco d’Assisi, in questo anno in cui ricorrono gli ottocento anni da quando realizzò il primo presepe della storia a Greccio, lui che pregava così: ”O Signore, fa di me uno strumento della tua pace: dove è odio, fa ch’io porti amore, dove è offesa, ch’io porti il perdono”.
I primi invitati ad andare al presepe furono i pastori, gli ultimi di quel tempo, una delle categorie più emarginate e disprezzate. I pastori di ieri sono i poveri di oggi e l’elenco è lungo: i profughi non accolti, quelli costretti a vivere in condizioni disumane, i giovani che non trovano lavoro, le donne che subiscono violenza, i bambini e gli anziani che restano marginali nella nostra società. Stentiamo a capirlo, ma con il privilegio dei poveri Gesù non ci sta chiedendo un semplice aiuto, ci sta chiedendo di aprirci al cuore della sua sorprendente rivelazione. Lui il povero per eccellenza! Ci ricorda Papa Francesco: «Gesù, “mite e umile di cuore” (Mt 11,29), è nato povero, ha condotto una vita semplice per insegnarci a cogliere l’essenziale e vivere di esso. I poveri e i semplici nel presepe ricordano che Dio si fa uomo per quelli che più sentono il bisogno del suo amore e chiedono la sua vicinanza.
Dal presepe emerge chiaro il messaggio che non possiamo lasciarci illudere dalla ricchezza e da tante proposte effimere di felicità. Nascendo a Betlemme, Dio stesso inizia l’unica vera rivoluzione che dà speranza e dignità ai diseredati, agli emarginati: la rivoluzione dell’amore, la rivoluzione della tenerezza. Gesù proclama, con mite potenza, l’appello alla condivisione con gli ultimi quale strada verso un mondo più umano e fraterno, dove nessuno sia escluso ed emarginato» ( Cf Admirabile signum, 6). I poveri che bussano alle porte delle nostre città, delle nostre parrocchie e che siamo chiamati ad accogliere come nostri familiari, abbracciandoli come fece San Francesco con il lebbroso, ci aiuteranno a cambiare prospettiva, convinti che la pace nasce dalla condivisione di un unico pane e, se condividiamo il pane del cielo, siamo chiamati a condividere anche quello terreno.
Gesù ha insegnato più nascendo povero in una stalla e amando, morendo su una croce, che in tutte le parole che ci ha lasciato. San Francesco aveva sperimentato questo nella sua vita e, a Greccio, ottocento anni fa, ci ha fatto dono del primo presepe, quel mirabile segno che, se colto nella sua profondità, per tutti è gioia infinita, bellezza per il mondo intero, dono di pace per l’umanità. Buon Natale a tutti!
+Angelo Spina, Arcivescovo Metropolita di Ancona-Osimo