Seconda Lectio Divina di Mons. Spina

Dal Vangelo secondo Matteo Mt 8,1-4

Quando Gesù scese dal monte, molta folla lo seguì. Ed ecco, si avvicinò un lebbroso, si prostrò davanti a lui e disse: «Signore, se vuoi, puoi purificarmi». Tese la mano e lo toccò dicendo: «Lo voglio: sii purificato!». E subito la sua lebbra fu guarita. Poi Gesù gli disse: «Guardati  bene dal dirlo a qualcuno; va’ invece a mostrarti al sacerdote e presenta l’offerta prescritta da Mosè come testimonianza per loro».

 

Il Vangelo ascoltato comincia sottolineando che “Gesù scese dal monte”.

E’ a tutti noto il discorso di Gesù fatto sul monte e tutti gli insegnamenti dati, riportati dall’evangelista Matteo dal capitolo quinto. Ora Gesù scende dal monte. Un’immagine che ci riporta a Mosè che salì sul monte per ricevere le tavole della Legge e portarle al popolo che attendeva. Ora Gesù scende non per portare le dieci Parole, ma le azioni che salvano. E’ lui la Parola stessa, perfettamente compiuta, che scende per dare la vita a tutti, per sempre.

Con i precedenti insegnamenti sul monte, predicati alla folla, Gesù aveva voluto formare anche i suoi discepoli, per prepararli alla loro missione. Ora l’Evangelista ci presenta Gesù, cui sono soggette tutte le forze della natura, come Guaritore, colui che è venuto nel mondo per sanare tutte le nostre infermità. Il capitolo ottavo è improntato all’attuazione della missione di Gesù, basata su tre segni messianici: insegnamento, guarigione delle malattie, liberazione del demone.

“Quando Gesù scese dal monte, una gran folla lo seguì. Ed ecco un lebbroso, avvicinatosi, gli si prostrò davanti […]”; ma perché un lebbroso e non un cieco, un sordo, un paralitico? Questa è anche la sua prima guarigione, quindi l’intervento del lebbroso assume un significato ancora più profondo, perché la lebbra che oggi chiamiamo  malattia di Hansen,   per evitare lo stigma che la parola “lebbra” ancora reca con sé nell’opinione comune, è una malattia orribile causata dalla moltiplicazione di un bacillo speciale (Bacillus leprae) nei tessuti organici: dopo aver assalito la pelle, penetra a poco a poco nelle carni, e le corrode in modo che i poveri malati ne rimangono completamente sfigurati.

Nell’antichità la malattia era ritenuta contagiosa.

Nel libro del Levitico 13,1-2, leggiamo:<<Il Signore aggiunse a Mosè e ad Aronne: «Quando uno ha sulla pelle del corpo un tumore o una pustola o macchia bianca che faccia sospettare una piaga di lebbra, quel tale sarà condotto dal sacerdote Aronne o da qualcuno dei sacerdoti, suoi figli>>. Sempre nel Levitico 13,45-46: <<Il lebbroso colpito dalla lebbra porterà vesti strappate e il capo scoperto, si coprirà la barba e andrà gridando: Immondo! Immondo! Sarà immondo finché avrà la piaga; è immondo, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento>>.

L’antica legge aveva per questo previsto tutta una serie di precauzioni per evitare il contatto del popolo con i lebbrosi: difficilmente si guariva, era ritenuta una malattia irreversibile e portava alla morte. Malattia che nessun uomo poteva guarire, la lebbra era anche ritenuta il segno del castigo di Dio.

Il lebbroso è l’impuro per eccellenza, escluso dalle relazioni. Nella sua carne, progressivamente mangiata dal morbo, è visibile la condizione mortale. Il lebbroso è una persona viva, ma è già morto, perché la malattia lo porta inesorabilmente alla morte, ma la sua è anche una morte civile e religiosa. Civile perché è messo fuori dalla società e dalle relazioni con gli altri, perché può infettarli. E’ una morte religiosa perché ritenuta un castigo di Dio e la guarigione può essere accertata solo dal sacerdote.

Quanti pregiudizi nel passato e purtroppo quanti pregiudizi anche oggi.

Il lebbroso nel Vangelo di Matteo si presenta a Gesù senza mediatori, direttamente.

Chi lo avesse toccato sarebbe diventato impuro! Tuttavia quel lebbroso ha molto coraggio: trasgredisce le norme della religione per poter avvicinare ed entrare in contatto con Gesù:

Il primo gesto che compie è quello di prostrarsi davanti a lui, lo adora. L’adorazione di Gesù è principio e fine del Vangelo di Matteo che inizia con l’adorazione dei Magi (Mt 2,2.11) e termina con quella dei discepoli che si prostrano davanti al Risorto prima di ricevere il mandato di andare in tutto il mondo a predicare il Vangelo (Mt 28,17). Sappiamo che la parola adorare deriva dalla lingua latina e significa “portare alla bocca”, baciare. Si adora l’oggetto del desiderio. E il desiderio fondamentale dell’uomo è Dio, pienezza di vita.

La prima parola che il lebbroso rivolge a Gesù è: “Signore”. Gesù è il Signore. Infatti può dare la vita.

«Signore, se vuoi, puoi purificarmi». Quella del lebbroso è una preghiera umile e profonda, una preghiera di speranza. Il lebbroso non dice a Gesù: “guariscimi”, ma “Signore, se vuoi, tu puoi purificarmi”; è l’atteggiamento interiore di un uomo che manifesta il timore di Dio ed ha dentro di sé la certezza assoluta che Gesù ha la potenza di Dio e a Lui nulla è impossibile. Cosa gli ha permesso di riconoscere Gesù? La fede, che lo spinge a superare anche la paura di essere punito in quanto la legge gli imponeva l’isolamento totale per non contagiare le altre persone.

Davanti al contagioso, all’impuro, un cadavere che cammina, che non si deve toccare, uno scarto buttato fuori, Gesù prova «compassione», allunga la mano e tocca. Nel Vangelo ogni volta che Gesù si commuove, tocca. Tocca l’intoccabile, toccando ama, amando lo guarisce. Dio non guarisce con un decreto, ma con una carezza.

La risposta di Gesù al «se vuoi» del lebbroso, è diretta e semplice, una parola ultima e immensa che solo Dio può dare: «Lo voglio: guarisci!». È la bella notizia, un Dio che fa grazia, che risana la vita, senza mettere clausole.

Uscire da questa malattia è letteralmente risorgere. Gesù compie due gesti con due verbi che sono avvicinamento: “tese la mano e lo toccò”. Il gesto di superamento di tutti i pregiudizi culturali e religiosi è tutto in questi due verbi accompagnati da una pretesa che è risposta alla preghiera del lebbroso: “Lo voglio: sii purificato”. Lo voglio è un bellissimo e dolce intento, che non ha nulla di egoistico poiché é solo dono di liberazione!

La preghiera del lebbroso allarga ancora di più quell’apertura che la parola di Gesù ha operato dentro di lui. La preghiera è la voce della speranza. Il lebbroso è senza nome ad indicare il fatto che ciascuno può sentirsi rappresentato, soprattutto quando la propria vita sembra frantumarsi come la carne dell’infermo.

Invece di chiudersi nel suo dolore e subire l’isolamento il lebbroso osa avvicinarsi e rivolgere una preghiera così pregna di umiltà e fiducia. Nella sua brevità è una preghiera perfetta perché da una parte si rispetta la volontà e la libertà dell’altro e in secondo luogo si esprime la fiducia non basata suoi propri meriti ma sulla bontà di Dio. Non è messa in dubbio né l’intenzione di Gesù né la sua capacità di guarirlo, ma dicendo «se vuoi» il lebbroso antepone al suo desiderio di purificazione la volontà di Dio. Se la lebbra come malattia del corpo è quasi universalmente debellata quella dello spirito invece è ancora presente e si manifesta drammaticamente in quei conflitti nei quali si arriva a mordersi e a sbranarsi tra fratelli.

Potremmo avere una pelle curata, liscia e profumata, ma conservare nel cuore, come in una tomba, i pensieri giudicanti che consumano interiormente. Il gesto di Gesù, che rifugge ogni clamore e ostentazione, non mira solamente alla guarigione del corpo ma soprattutto ad integrarlo insieme all’anima e allo spirito. Sempre più spesso capita di sentirsi frantumati dentro, incapaci di rimettere insieme eventi, emozioni, pensieri, sentimenti che appaiono come pezzi di un vaso rotto. La vita spirituale, esperienza della riconciliazione operata da Dio, ci aiuta a riconciliarci con noi stessi per divenire nel mondo testimonianza veritiera della misericordia di Dio.

Dopo la guarigione Gesù impone al lebbroso guarito di non divulgare il fatto strepitoso e di compiere quanto comanda la legge. Il lebbroso deve presentarsi ai sacerdoti, perché verifichino l’avvenuta guarigione e fare la dovuta offerta in segno di riconoscenza a Dio, dal quale vengono la guarigione e la nuova vita. Il tutto deve servire “come testimonianza per loro”. Gesù non cerca se stesso, opera con semplicità il bene e indirizza a Dio la riconoscenza degli uomini. Gesù, come Mosè scende dal monte, ma non più con una parola da osservare, ma come Parola compiuta: è il Figlio, che fa grazia ai fratelli. Guarire dalla lebbra è azione esclusiva di Dio, Signore della vita e della morte. “Privi della gloria di Dio, siamo gratuitamente vivificati dalla sua grazia”. L’uomo è trasformato dalla Parola, che gli tocca il cuore. L’umiltà di riconoscere i nostri limiti, la volontà e la fiducia di poterne essere guariti, l’iniziativa di rivolgerci all’unico medico, Cristo, ci faranno essere molto meno lebbrosi e più purificati.

Gesù non compie miracoli per qualche altro fine, per fare adepti o per avere successo, neppure per convertire qualcuno. Lui guarisce il lebbroso perché torni integro, perché sia restituito alla sua piena umanità e alla gioia degli abbracci. È la stessa cosa che accade per ogni gesto d’amore: amare «per», farlo per un qualsiasi scopo non è vero amore.

Quanti uomini e donne, pieni di Vangelo, hanno fatto come Gesù e sono andati dai lebbrosi del nostro tempo: rifugiati, senza fissa dimora, tossici, prostitute. Li hanno toccati, un gesto di affetto, un sorriso, e molti di questi, e sono migliaia e migliaia, sono letteralmente guariti dal loro male, e sono diventati a loro volta guaritori. Prendere il Vangelo sul serio ha dentro una potenza che cambia il mondo. E tutti quelli che l’hanno preso sul serio e hanno toccato i lebbrosi del loro tempo, tutti testimoniano che fare questo porta con sé una grande felicità. Perché ti mette dalla parte giusta della vita.

Signore Gesù, medico dei corpi e maestro dello spirito, istruiscimi nella preghiera perché la bocca sia in sintonia con il cuore cosicché le parole comunichino umiltà, fiducia e speranza. Supera le barriere del pregiudizio innalzate dalla paura e dai sensi di colpa; la tua parola e i sacramenti possano sanare le infermità dello spirito per affrontare bene le prove della vita senza lasciarmi sopraffare dallo sconforto e dalla disperazione. Donami fiducia e umiltà nel credere che non solo Tu puoi guarirmi ma che Tu vuoi salvarmi e rendermi una persona felice