Essere segni di speranza nella propria famiglia, con gli amici, a scuola, negli ambienti che frequentano, è l’impegno che si sono presi i giovani durante la veglia di Avvento diocesana, organizzata venerdì 13 dicembre nella parrocchia di Numana. Di fronte alle immagini di distruzione e morte proiettate all’inizio della veglia, riguardanti le guerre, le migrazioni e la terra devastata dai cambiamenti climatici, si sono domandati: “E noi, che cosa dobbiamo fare?”. Una domanda ripresa da un brano del Vangelo di Luca (Lc 3, 10-18), quando le folle chiedono a Giovanni Battista che cosa devono fare. Ogni giovane ha così scritto su un pezzetto di stoffa il proprio nome e un impegno per essere concretamente segno di speranza nel mondo. I pezzetti di stoffa, simbolo delle bende con cui è stato avvolto Gesù appena nato, sono poi stati messi nella mangiatoia vuota che attende la nascita del Salvatore.
«Le immagini all’inizio della veglia descrivono la tragicità del nostro tempo – ha sottolineano l’Arcivescovo – ma oggi risuona nel nostro cuore una domanda: “E noi, che cosa dobbiamo fare?”. Quando abbiamo Dio nel cuore e amiamo quelle bombe possono essere trasformate in pace, la miseria può diventare la ricchezza di un cuore che si dona. Cominciamo da noi, non dagli altri. Andiamo incontro al Signore che viene con speranza e in questo tempo di Avvento domandiamoci: noi sappiamo aspettare? O vogliamo tutto e subito come un click? Aspettiamo con speranza, camminando insieme, il Natale». I ragazzi hanno quindi vissuto un tempo di silenzio, riconciliazione e preghiera con l’adorazione eucaristica e le confessioni. Accompagnati dai canti e da quattro testimonianze sul tema della speranza, hanno aperto il loro cuore davanti a Gesù.
La prima testimonianza letta è stata quella di Etty Hillesum, giovane ebrea deportata ad Auschwitz e lì uccisa a 29 anni. Scriveva: “Dio mio ti ringrazio perché mi hai creata così come sono. Nei momenti di abbandono mi ritrovo sul petto nudo della vita e le sue braccia mi circondano così dolci e protettive e il battito del suo cuore non so ancora descriverlo: così lento e regolare e così dolce, quasi smorzato, ma così fedele, come se non dovesse arrestarsi mai, e anche così buono e misericordioso. Io sento la vita in questo modo, né credo che una guerra, o altre insensate barbarie, potranno cambiare qualcosa. È vero che le minacce e il terrore crescono di giorno in giorno, ma, alla fine di ogni giornata, sento sempre il bisogno di dire: la vita è davvero bella”.
Sono poi state lette alcune parole di Papa Francesco sulla speranza e la pazienza, pronunciate l’8 maggio 2024 durante l’Udienza Generale in Piazza San Pietro: “Il mondo ha bisogno della speranza, come ha tanto bisogno della pazienza, una virtù che cammina a stretto contatto con la speranza. Gli uomini pazienti sono tessitori di bene. Desiderano ostinatamente la pace, e anche se alcuni hanno fretta e vorrebbero tutto e subito, la pazienza ha la capacità dell’attesa. Anche quando intorno a sé molti hanno ceduto alla disillusione, chi è animato dalla speranza ed è paziente è in grado di attraversare le notti più buie. Speranza e pazienza vanno insieme”.
La terza testimonianza ha riguardato Nick Vujicic, affetto da una rara malattia genetica, la tetramelia, e per questo nato senza gli arti superiori e inferiori. Lui scrive: “Leggevo di Gesù che camminando attraverso un villaggio vide un uomo cieco dalla nascita e le persone attorno a lui chiesero: «perché quest’uomo è nato così?» E Gesù rispose dicendo «E’ così affinché le opere di Dio siano manifestate in lui». Proprio con questi versi Dio mi ha donato la fede e mi ha fatto realizzare che la risposta alla mia domanda «Perché mi hai creato in questa maniera?» è «E tu hai fiducia in me?». Quando riusciamo a rispondere sì a questa domanda, tutto il resto non conta più. Ognuno di noi è già un miracolo di Dio per la salvezza di qualcun altro. Questa mia condizione fisica mi ha permesso di essere strumento della Sua volontà e testimone di speranza in diverse parti del mondo. Quindi come potrei preferire a questo il fatto di avere gambe e braccia? Ricordati sempre che Dio ti ama e non ha dimenticato il tuo dolore o la tua famiglia. La tua speranza non è nel comparare le sofferenze e nel sapere che qualcuno forse soffre più di te. La vera speranza è nel nome di Dio, nel nome del Signore Gesù Cristo. Troverai speranza quando paragonerai la tua sofferenza con l’infinito amore di Dio. Isaia 40 al verso 31 dice «ma quelli che sperano nel Signore acquistano nuove forze, si alzano in volo come aquile…» Non ho bisogno che le mie circostanze cambino, non ho bisogno delle braccia e delle gambe, ma delle ali dello Spirito Santo e volerò perché so che Gesù mi sorregge! Quindi non scoraggiarti, Dio non ti abbandonerà mai”.
Sono poi state lette alcune parole di don Tonino Bello, vescovo italiano dichiarato venerabile il 25 novembre 2021 da Papa Francesco: “Bisogna far capire che la speranza è parente stretta del realismo. È la tensione di chi, incamminandosi su una strada, ne ha già percorso un tratto e orienta i suoi passi, con amore e trepidazione, verso il traguardo non ancora raggiunto. È impegno robusto che non ha da spartire nulla con la fuga. Perché chi spera non fugge. Si incarna nella storia, non si aliena. Costruisce il futuro, non lo attende soltanto. Ha la grinta del lottatore, non la rassegnazione di chi disarma. Ha la passione del veggente, non l’aria avvilita di chi si lascia andare. Cambia la storia, non la subisce. Ricerca la solidarietà con gli altri viandanti, non la gloria del navigatore solitario”.
Al termine della veglia, due giovani hanno fatto un segno della croce con l’acqua benedetta sulla fronte di tutti i ragazzi presenti, in ricordo del battesimo, e l’Arcivescovo li ha invitati a partecipare il 29 dicembre alle ore 16 alla Santa Messa nella Cattedrale di San Ciriaco, in occasione dell’apertura dell’anno giubilare nella nostra diocesi.
Fotogallery