Via Crucis dei giovani sul Monte Conero

Fedeltà, perdono, leggerezza, tenerezza e amore sono state le cinque parole di speranza che hanno accompagnato i giovani durante la Via Crucis sul Monte Conero. Venerdì 11 aprile, partiti da Metamonte, i ragazzi hanno seguito la croce e, passo dopo passo, hanno ripercorso il cammino di Gesù e la via che conduce alla Resurrezione. Con riflessioni, preghiere, testimonianze e canzoni, hanno messo sempre al centro la speranza, messaggio del Giubileo, che tutto rinnova e trasforma.

Nella prima stazione hanno meditato il passo del Vangelo di Matteo, in cui Gesù viene tradito da Giuda e hanno letto una riflessione di don Primo Mazzolari. La parola scelta per questa prima tappa è stata fedeltà, perché come ha detto un giovane, «Dio ci è sempre fedele, anche quando lo tradiamo non smette mai di amarci e rimanerci accanto, di chiamarci amici. Nelle nostre relazioni, nei nostri rapporti, dobbiamo farci ispirare dall’esempio del Signore». Perdono è stata invece la parola scelta per la seconda stazione, in cui è stato meditato il rinnegamento di Pietro. Sono state quindi lette le parole di don Claudio Burgio, responsabile delle Comunità di accoglienza per adolescenti in difficoltà dell’Associazione Kayròs e cappellano dell’Istituto Penitenziario Minorile Beccaria di Milano, il quale ha raccontato di «una mamma che ha perso il figlio e ha scritto al ragazzo che lo ha ucciso una lettera, dicendo “ho già perso un figlio, non ne voglio perdere un altro”. Quando le ho chiesto che cosa l’avesse portata a perdonare quel ragazzo lei mi ha detto che non poteva consegnare la sua vita all’odio e al risentimento, che aveva sentito la necessità di perdonarlo. Il perdono è un dono enorme per chi lo riceve, ma anche per la serenità di chi lo consegna».

Nella terza stazione “Gesù è aiutato da Simone di Cirene a portare la croce”, la parola di speranza è stata leggerezza. Un giovane ha ricordato che «prendere la croce di Gesù è anche condividere la propria, con il peso che ciascuno di noi porta ogni giorno sulle proprie spalle, è sentire la sofferenza ma rafforzare la fede, nella fatica della salita, nella preghiera, nella comunione e nella compassione». I ragazzi hanno continuato a camminare e alla quarta stazione “Gesù dalla croce affida sua madre al discepolo amato”, hanno scelto come parola la tenerezza e hanno ascoltato la testimonianza di Donatella e Angelo della Casa Famiglia “Non temere”. Sposati da 33 anni, con due figli ormai grandi, dal 2012 hanno aperto la porta della loro casa e accolgono bambini da 0 ai 4 anni. «La nostra esperienza nasce da un profondo cammino di fede come coppia e come famiglia – ha raccontato Donatella – e in questi anni i bimbi accolti sono stati 16. Bimbi a noi affidati, chi per pochi mesi, chi per alcuni anni, chi per moltissimi anni. Abbiamo detto il nostro sì e ogni giorno ci affidiamo e lo ripetiamo, certi di non avere sbagliato strada. Quando arriva il momento di salutarli per intraprendere strade diverse sappiamo che nulla ci potrà separare. Nessuno di loro viene sostituito, ognuno occupa un posto nel nostro cuore. Ci sono fili sottilissimi di amore invisibili che creano una rete che durerà per sempre. Anche se lontani, rimangono la tenerezza, la dolcezza, i sorrisi, i ricordi di tutti gli attimi di vita vissuta insieme che sarà per sempre impressa nel nostro cuore».

Con la preghiera e il canto, le torce accese e le scarpe da trekking, i giovani hanno continuato a camminare e, giunti alla quinta e ultima stazione, hanno riflettuto sulla morte di Gesù, inchiodato alla croce, e la parola di speranza è stata amore: «Nella contemplazione di Cristo donatosi fino all’estremo noi veniamo consolati. Il dolore che sentiamo nel cuore lascia il posto a una fiducia totale, e alla fine ciò che rimane è gratitudine, tenerezza, pace; rimane il suo amore che regna nella nostra vita. Un amore che è essenzialmente Qualcuno: Gesù Cristo. Fintanto che non incontreremo Cristo come un fatto essenziale dell’amore, in realtà non avremo ancora sperimentato i frutti della salvezza. La nostra vita è possibile e significativa solo e soltanto quando è vita amata».

Arrivati davanti alla Badia di San Pietro al Conero, Mons. Angelo Spina li ha benedetti e ha sottolineato che «la croce di Cristo è messaggio di speranza. Quando era tra noi, Gesù ha camminato. Ha camminato curando i malati, assistendo i poveri, facendo giustizia; ha camminato predicando, insegnando. Gesù cammina. Ma il cammino che più tocca il nostro cuore è il cammino del Calvario, la via della Croce. In questo Anno Giubilare siamo tutti pellegrini di speranza, perché la speranza non delude. Nel cammino della croce Gesù è vicino a ciascuno di noi, piange con noi. Tutti noi nella vita abbiamo pianto e piangiamo ancora. E Gesù è con noi. Piange con noi perché ci accompagna nel buio che ci porta alle lacrime. Gesù, con la sua tenerezza, asciuga le nostre lacrime nascoste. Gesù spera di riempire, con la sua vicinanza, la nostra solitudine. Come sono tristi i momenti di solitudine. Lui è lì, Lui vuole colmare questa solitudine. Gesù vuole colmare la nostra paura, la tua paura, la mia paura, quelle paure oscure vuole colmarle con la sua consolazione. E Lui spera di spingerci ad abbracciare il rischio di amare. Perché, voi lo sapete, lo sapete meglio di me: amare è rischioso. Bisogna correre il rischio di amare. È un rischio, ma vale la pena correrlo, e Lui ci accompagna in questo. Sempre ci accompagna. Sempre cammina. Sempre, durante la vita, sta insieme a noi».

L’Arcivescovo ha poi ricordato «le false speranze che ci vengono proposte nel nostro tempo, soprattutto nel mondo giovanile. Viviamo in un mondo di specchi dove tutto ciò che conta è il nostro aspetto, la nostra immagine. Selfie dopo selfie. La tirannia del corpo giusto e del sorriso perfetto. Foto di noi sui social media in pose accuratamente studiate. Post artificiali in attesa di like. Purtroppo, come spesso costatiamo, le speranze terrene illudono e deludono. Noi siamo qui perché crediamo che è proprio nel Crocifisso la nostra speranza. Le speranze terrene crollano davanti alla croce, ma rinascono speranze nuove, quelle che durano per sempre. È una speranza diversa quella che nasce dalla croce. È una speranza diversa da quelle che crollano, da quelle del mondo. Ma quale speranza nasce dalla croce? Ci può aiutare a capirlo quello che dice Gesù proprio dopo essere entrato a Gerusalemme: «Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24). Proviamo a pensare a un chicco o a un piccolo seme, che cade nel terreno. Se rimane chiuso in sé stesso, non succede nulla; se invece si spezza, si apre, allora dà vita a una spiga, a un germoglio, poi a una pianta e la pianta darà frutto. Gesù ha portato nel mondo una speranza nuova e lo ha fatto alla maniera del seme: si è fatto piccolo piccolo, come un chicco di grano; ha lasciato la sua gloria celeste per venire tra noi: è “caduto in terra”.

Ma non bastava ancora. Per portare frutto Gesù ha vissuto l’amore fino in fondo, lasciandosi spezzare dalla morte, come un seme si lascia spezzare sotto terra. Proprio lì, nel punto estremo del suo abbassamento – che è anche il punto più alto dell’amore – è germogliata la speranza. Se qualcuno di voi domanda: “Come nasce la speranza”? Dalla croce. Guarda la croce, guarda il Cristo Crocifisso e da lì ti arriverà la speranza che non sparisce più, quella che dura fino alla vita eterna. E questa speranza è germogliata proprio per la forza dell’amore: perché l’amore «tutto spera, tutto sopporta» (1 Cor 13,7), l’amore che è la vita di Dio ha rinnovato tutto ciò che ha raggiunto. Gesù ha trasformato il nostro peccato in perdono, la nostra morte in risurrezione, la nostra paura in fiducia. Ecco perché lì, sulla croce, è nata e rinasce sempre la nostra speranza; ecco perché con Gesù ogni nostra oscurità può essere trasformata in luce, ogni sconfitta in vittoria, ogni delusione in speranza.

La speranza supera tutto, perché nasce dall’amore di Gesù che si è fatto come il chicco di grano in terra ed è morto per dare vita e da quella vita piena di amore viene la speranza. In realtà la logica del seme che muore, dell’amore umile, è la via di Dio, e solo questa dà frutto. Lo vediamo anche in noi: possedere spinge sempre a volere qualcos’altro: ho ottenuto una cosa per me e subito ne voglio un’altra più grande, e così via, e non sono mai soddisfatto. È una brutta sete quella! Quanto più hai, più vuoi. Chi è vorace non è mai sazio. E Gesù lo dice in modo netto: «Chi ama la propria vita la perde» (Gv 12,25). Tu sei vorace, cerchi di avere tante cose ma … perderai tutto, anche la tua vita, cioè: chi ama il proprio e vive per i suoi interessi si gonfia solo di sé e perde. Chi invece accetta, è disponibile e serve, vive al modo di Dio: allora è vincente, salva sé stesso e gli altri; diventa seme di speranza per il mondo. È bello aiutare gli altri, servire gli altri, è così che il cuore si riempie di gioia e di speranza. Questo è amore e speranza insieme: servire e dare. A tutti ci farà bene fermarci davanti al Crocifisso, guardarlo e dirgli: “Con Te niente è perduto. Con Te posso sempre sperare. Tu sei la mia speranza”». Ha quindi invitato i giovani a guardare il Crocifisso e a ripetere tutti insieme per tre volte: “Tu sei la mia speranza”. «Guardiamo a Lui e camminiamo con speranza, perché la speranza non delude», ha concluso l’Arcivescovo.

Fotogallery