L’Apostolo Paolo conclude la sua prima lettera ai Corinti con queste parole: «Il saluto è di mia mano, di Paolo. Se qualcuno non ama il Signore sia anàtema. Maranà tha: (Vieni, o Signore!). La grazia del Signore Gesù, sia con voi. Il mio amore con tutti voi in Cristo Gesù» (1Cor 16,22). L’espressione di Paolo è ripresa da Giovanni al termine dell’Apocalisse: «Lo Spirito e la sposa dicono: «Vieni!». E chi ascolta ripeta: «Vieni! »…Colui che attesta queste cose dice: «Sì vengo presto!». Amen, Vieni Signore Gesù (Maranà tha). La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con tutti». (Ap 22,17.20). Sia Paolo che Giovanni usano una terminologia simile. L’invocazione “Vieni, Signore Gesù”, è il grido del desiderio dell’amante nei confronti dell’amato atteso. È un desiderio di speranza, una preghiera di luce, una invocazione di fiducia nel caos dello smarrimento. Smarrimento che segna i nostri giorni di incertezze e di paura. Un mondo segnato da un organismo vivente, un invisibile virus, che porta sofferenza, dolore, morte e amplifica a livello planetario le carenze già esistenti dal punto di vista sanitario, lavorativo, economico. La Chiesa, sposa, pur nello smarrimento cerca lo sposo e con fiducia invoca: «Vieni, Signore Gesù».
Tu sei il Figlio già venuto, come ci ricorda la lettera ai Galati: «Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli» (Gal 4,4-5) eppure sei sempre il Signore veniente, sei Presenza veniente. Per questo come ai discepoli ripeti a noi oggi: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me» (Gv 14,1). La tua venuta, Signore, indica che c’è una pienezza del tempo, che il tempo è compiuto. Non si tratta del chronos, il tempo che computiamo con i giorni, le ore, ma del Kairòs, il tempo di grazia, il tempo Dio che irrompe nel tempo dell’uomo. Con l’avvento di Cristo Gesù nella nostra carne, il tempo dell’uomo è gravido e sempre sul punto di partorire nella fede la grazia del Regno di Dio, cioè del Vangelo dell’amore che abbraccia e congiunge cielo e terra…Regno sempre vicino e veniente.
L’Avvento è il tempo per dire nuovamente e con vigore la parola della fede: Maranàtha, Vieni Signore Gesù, è il tempo di ridare respiro alla nostra anima e alle nostre comunità. È tempo di convertirsi al Vangelo. Cambiare la mentalità di chiusura, di pessimismo, di autolesionismo e di individualismo. Andare “oltre” la mentalità dei nostri pensieri, di interessi, di tornaconti. Come ci ricorda papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti, vivere la follia dell’Amore della prossimità, della solidarietà, della carità senza calcolo e fino allo spreco, nella più assoluta gratuità. Ma per un cambiamento, per una conversione è necessario avere coscienza del Kàiros di Dio, che lui è in mezzo a noi. Anche nel tempo compiuto Dio non pianta alberi, ma getta semi. E il nostro è un tempo di semi e non di alberi. Ma ogni seme di amore e di speranza è un albero nel giardino di Dio, perché l’oggi, pur nella sua fragilità e debolezza, è l’ora decisiva per la crescita perché è tempo di grazia, perché il Regno di Dio è nel nostro oggi.
«La Vergine Maria ha vissuto il tempo di Dio in modo nuovo e originale, come credente e come discepola. Maria è in preghiera, quando l’arcangelo Gabriele viene a portarle l’annuncio a Nazareth. Il suo “Eccomi”, piccolo e immenso, in quel momento fa sobbalzare di gioia l’intera creazione. Non c’è modo migliore di pregare che mettersi come Maria in un atteggiamento di apertura, di cuore aperto a Dio: “Signore, quello che Tu vuoi, quando Tu vuoi e come Tu vuoi”. Cioè, il cuore aperto alla volontà di Dio. E Dio sempre risponde. Mettere la nostra vita nelle mani del Signore: che sia Lui a guidarci. Tutti possiamo pregare così, come ci ha ricordato papa Francesco nell’udienza di mercoledì 18 novembre 2020 – La preghiera sa ammansire l’inquietudine: ma, noi siamo inquieti, sempre vogliamo le cose prima di chiederle e le vogliamo subito. Questa inquietudine ci fa male, e la preghiera sa ammansire l’inquietudine, sa trasformarla in disponibilità. Quando sono inquieto, prego e la preghiera mi apre il cuore e mi fa disponibile alla volontà di Dio. Se nella preghiera comprendiamo che ogni giorno donato da Dio è una chiamata, allora allarghiamo il cuore e accogliamo tutto. Si impara a dire: “Quello che Tu vuoi, Signore. Promettimi solo che sarai presente ad ogni passo del mio cammino”. Questo è l’importante: chiedere al Signore la sua presenza a ogni passo del nostro cammino: che non ci lasci soli, che non ci abbandoni nella tentazione, che non ci abbandoni nei momenti brutti. Quel finale del Padre Nostro è così: la grazia che Gesù stesso ci ha insegnato di chiedere al Signore. Con Dio si lavora sempre a giornata: Lui ci dona solo quello che serve oggi, esigendo fiducia incondizionata per il domani».
Sì, nel Regno di Dio venuto e veniente siamo sempre “operai a giornata”. La “giornata” è anche un modo per pensare alla nostra vita terrena, che non è quella definitiva ma solo una “giornata” della nostra esistenza, che apre lo sguardo ad un orizzonte della speranza di una creazione che geme e soffre nelle doglie del parto. Perché, come ha scritto Charles Péguy, la Speranza è una bambina “irriducibile”. Rispetto alla Fede che “è una sposa fedele” e alla Carità che “è una Madre”, la Speranza sembra, in prima battuta, che non valga nulla. E invece è esattamente il contrario: sarà proprio la Speranza, scrive Péguy, “che è venuta al mondo il giorno di Natale” e che “portando le altre, traverserà i mondi”. Buon cammino di Avvento, incontro alla Speranza che viene.
+Angelo, arcivescovo