Il Seminario Regionale “Pio XI” in udienza dal Papa il 10 giugno 2021

“Santità, è davvero grande la gioia di noi tutti per questo incontro in occasione del ventesimo anniversario della dedicazione dell’altare della cappella del nostro Seminario: cuore della Comunità. La ringraziamo per averci concesso questa bella e preziosa opportunità, che custodiremo tutti gelosamente nel cuore e che sarà una pietra miliare per il Seminario nei suoi oltre 110 anni di vita”. Con queste parole il Rettore del Seminario Regionale Marchigiano “Pio XI”, don Claudio, ha salutato il Santo Padre nell’Aula Clementina all’inizio dell’udienza con i Seminaristi, accompagnati dagli arcivescovi Piero Coccia, Angelo Spina, Francesco Massara e dai vicerettori don Daniele, don Andrea, dal padre spirituale don Luca, da don Giuseppe Sovernigo, dai sacerdoti confessori e dal personale del Seminario.

La gioia dei seminaristi all’arrivo del Papa è stata espressa con un forte applauso a cui è seguito il religioso ascolto della catechesi. Salutando il Papa, hanno fatto dono di alcuni prodotti delle Marche e posato per una foto di gruppo.

La giornata era iniziata con la partenza alle ore quattro del mattino dal Seminario per Roma. Dopo una visita nella basilica di S. Pietro, i seminaristi hanno incontrato il cardinale Comastri per un saluto, accogliere una breve riflessione e vivere un momento di preghiera. Nell’aula Clementina è seguita l’udienza con il Papa. La giornata è proseguita al santuario del Divino Amore dove è stata celebrata la S. Messa presieduta dall’arcivescovo Angelo Spina, che ha accompagnato i seminaristi per tutta la giornata, il rientro è avvenuto in tarda serata. Una giornata storica per il Seminario Regionale delle Marche, che rimarrà scritta nei cuori di chi vi ha partecipato.

Di seguito vengono riportati i punti salienti della catechesi del Papa, il testo integrale della catechesi di Papa Francesco e l’indirizzo di saluto del Rettore del Seminario.

 

Antonella Palermo – Città del Vaticano

Nell’anno dedicato a San Giuseppe, Papa Francesco si rivolge alla comunità del Seminario Regionale Marchigiano “Pio XI”, in udienza questa mattina in Vaticano, condividendo alcuni spunti utili per maturare la vocazione sacerdotale, alla luce delle figure che hanno accompagnato la crescita umana e spirituale di Gesù.

Domandare la docilità

“La docilità è una virtù non solo da acquistare ma da ricevere”, ha sottolineato il Papa, che ha invitato ciascuno a domandarsi: sono docile? Sono un ribelle? O non mi importa nulla, faccio come mi importa? “Docile è un atteggiamento costruttivo della propria vocazione e anche della propria personalità. Senza docilità, nessuno può crescere e maturare”. E, citando la Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalisha ricordato che “la formazione è un processo in evoluzione” e che dunque la docilità è un elemento imprescindibile.

Ai formatori: siate per i seminaristi ciò che Giuseppe è stato per Gesù

Imparino la docilità dalla vostra obbedienza; la laboriosità dalla vostra dedizione; la generosità verso i poveri dalla testimonianza della vostra sobrietà e disponibilità; la paternità grazie al vostro affetto vivo e casto.

E’ la sintesi che il Papa indica come percorso valoriale nel cammino sacerdotale. La “scuola” a cui rimanda è quella del “coraggio creativo” di Giuseppe. L’auspicio espresso ai direttori spirituali e ai formatori tutti è che i seminaristi “possano apprendere più dalla vostra vita che dalle vostre parole”.

L’amore casto non possiede, non imprigiona

Francesco si sofferma sul senso profondo e autentico della castità, rifacendosi all’appellativo “castissimo” che si usa per descrivere il papà terreno del Maestro. Citando la Lettera Apostolica Patris Corde, ribadisce:

Non è un’indicazione meramente affettiva, ma la sintesi di un atteggiamento che esprime il contrario del possesso. La castità è la libertà dal possesso in tutti gli ambiti della vita. Solo quando un amore è casto, è veramente amore. L’amore che vuole possedere, alla fine diventa sempre pericoloso, imprigiona, soffoca, rende infelici.

Ai seminaristi: non accontentatevi dell’abilità nei social e nei media

Il Papa solleva il dubbio che “forse non abbiamo riflettuto abbastanza sul giovane Gesù, impegnato a discernere la propria vocazione”. E’ nella casa di Nazaret che il Figlio di Dio ha appreso l’umanità e la vicinanza, il seminario dovrebbe essere un luogo simile a quello. E poi sottolinea la sfida della comunicazione che sempre deve attingere dalla Parola di Dio e dal suo potere trasformante:

Solo trasformati dalla Parola di Dio potrete comunicare parole di vita. Il mondo è assetato di sacerdoti in grado di comunicare la bontà del Signore a chi ha sperimentato il peccato e il fallimento, di preti esperti in umanità, di pastori disposti a condividere le gioie e le fatiche dei fratelli, di uomini che si lasciano segnare dal grido di chi soffre.

Le vite dei santi, i tanti eroi della carità, i nonni, quegli scrittori – cita un autore a cui spesso ritorna che è Dostoevskij – che sanno esaltare la bellezza che salva: ecco, sono gli altri modelli da non dimenticare per rafforzarsi nella propria scelta di consacrazione.

A proposito dell’impegno nella conoscenza, il Papa aggiunge:

Un sacerdote può essere molto disciplinato, può essere capace di spiegare bene la teologia, anche la filosofia e tante cose. Ma se non è umano, non serve. Che vada fuori, a fare il professore. Ma se non è umano non può essere sacerdote: gli manca qualcosa. Gli manca la lingua? No, può parlare. Gli manca il cuore. Esperti in umanità.

Il Seminario non deve allontanare dalla realtà

Papa Francesco diffida dal considerare il seminario come una sorta di fuga dal mondo, compresi i suoi pericoli. Deve invece essere un posto dove sperimentare sempre di più la prossimità a Dio e ai fratelli:

Tra le mura del Seminario dilatate i confini del cuore, estendeteli a tutto il mondo, appassionatevi di ciò che “avvicina”, “apre” e “fa incontrare”. Diffidate delle esperienze che portano a sterili intimismi, degli “spiritualismi appaganti”, che sembrano dare consolazione e invece portano a chiusure e rigidità.

Coltivare relazioni pulite, gioiose, liberanti

Nel presentare infine quattro piste da tenere sempre interconnesse – a livello di formazione umana, spirituale, intellettuale e pastorale – il Papa mette in guardia i seminaristi dalla tentazione di considerare il seminario un luogo dalla cui porta si può lasciare fuori la complessità della propria interiorità, dei propri sentimenti e dell’affettività:

Non chiudetevi in voi stessi quando vivete un momento di crisi o di debolezza. Apritevi in tutta sincerità ai vostri formatori, lottando contro ogni forma di falsità interiore. Coltivate relazioni pulite, gioiose, liberanti, umane, piene, capaci di amicizia, capaci di sentimenti, capaci di fecondità.

La preghiera non sia ritualismo

Il Papa raccomanda ancora una volta che la preghiera deve essere “incontro personale con Dio, dialogo e confidenza con Lui”.

Vigilate perché non accada che la liturgia e la preghiera comunitaria diventino celebrazione di noi stessi. Arricchite la preghiera di volti, sentitevi già da ora intercessori per il mondo. E aggiunge: E se tu ti arrabbi con Dio, fallo: perché arrabbiarsi con il papà è un modo di comunicare amore. Non avere paura: Lui capisce quel linguaggio, è padre. 

Ricordando un episodio in cui si trovò a osservare il modo di guardarsi allo specchio di un seminarista o di un prete che aveva appena comprato dei vestiti per sé, il Papa implora:

Per favore, che ogni celebrazione liturgica non sia una celebrazione di noi stessi.

Non essere ostili allo studio

Un pensiero particolare è dedicato all’atteggiamento verso lo studio, una attività che dovrebbe aiutare “a entrare con consapevolezza e competenza nella complessità della cultura e del pensiero contemporaneo”. Anche in questo caso, il Papa ribadisce di non temere nel dialogare e proclamare la propria fede anche in mondo in cui sembrerebbe primeggiare un pensiero ateo. E insiste sul rischio di abbandonarsi a riflessioni accademiche che perdono l’ancoraggio nel reale servizio al santo popolo di Dio.

Non averne paura, non esserne ostili. È lì che va incarnata la sapienza del Vangelo. E la sfida della missione che vi attende richiede, oggi più che mai, competenza e preparazione.   

Il clericalismo è una perversione del sacerdozio

Sull’aspetto pastorale della formazione, Francesco è tornato a ribadire l’importanza di “andare con entusiasmo incontro alla gente”. Citando il Vangelo di Marco sulla vita di servizio agli altri spesa da Gesù, il Papa ha precisato che “essere discepoli di Gesù significa liberarsi di sé stessi e conformarsi ai suoi stessi sentimenti”.

Si è preti per servire il Popolo di Dio, per prendersi cura delle ferite di tutti, specialmente dei poveri. Disponibilità agli altri: è questa la prova certa del sì a Dio. E niente clericalismo. 

Papa Francesco ha ancora una volta detto che “il vero pastore non si stacca del popolo di Dio, è nel popolo di Dio, o davanti per indicare la strada, o in mezzo per capirlo meglio, o dietro, per aiutare coloro che restano un po’ troppo indietro, e anche per lasciare un po’ che il popolo, che il gregge col fiuto  ci faccia indicare dove ci sono i nuovi pascoli. 

Il Papa ha scandito parole decise su quella che ha definito rigidità alla moda, oggi, la rigidità che è “una delle manifestazione del clericalismo”.

Il clericalismo è una perversione del sacerdozio: è una perversione. E la rigidità è una delle manifestazioni. Quando io trovo un seminarista o un giovane sacerdote rigido, dico “a questo succede qualcosa di brutto dentro”. Dietro ogni rigidità c’è un problema grave, perché la rigidità manca di umanità.

Evitare chiusure campanilistiche

Al termine del suo discorso, Papa Francesco si è compiaciuto della valorizzazione – operata dai presuli marchigiani e dalle comunità diocesane – del carattere interdiocesano del Seminario:

In un’epoca storica in cui si assiste – al di fuori come all’interno della Chiesa – a chiusure di stampo “campanilistico”, l’esperienza di comunione che state vivendo è un bell’esempio anche per altre diocesi.

E poi ha invitato a cercare e conservare sempre un dialogo schietto con i propri formatori. Con una battuta è arrivato a dire di ricercare “i vecchi preti, quelli che hanno la saggezza del buon vino” e che conoscono “i nomi di tutti, anche dei cani”.

Parlate con questi preti che sono il tesoro della Chiesa. Tanti di loro delle volte sono dimenticati o in una casa di riposo, andate a trovarli, sono un tesoro.

 

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO ALLA COMUNITÀ DEL PONTIFICIO SEMINARIO REGIONALE MARCHIGIANO PIO XI DI ANCONA

Sala Clementina Giovedì, 10 giugno 2021

Cari fratelli,

sono lieto di accogliere la vostra comunità del Pontificio Seminario Regionale Marchigiano “Pio XI”. Ringrazio il Rettore per le sue parole di saluto: entusiasta, questo Rettore! Il nostro incontro avviene nell’anno dedicato a San Giuseppe e ciò mi porta a condividere alcuni pensieri sulla vocazione ispirati da «questa straordinaria figura, tanto vicina alla condizione umana di ciascuno di noi»(Lett. Ap. Patris corde, 8 dicembre 2020) e vicina anche alla chiamata che Dio ha voluto rivolgerci.

Mi piace immaginare il Seminario come la famiglia di Nazaret, nella quale Gesù è stato accolto, custodito e formato in vista della missione affidatagli dal Padre. Il Figlio di Dio ha accettato di lasciarsi amare e guidare da genitori umani, Maria e Giuseppe, insegnando a ciascuno di noi che senza docilità nessuno può crescere e maturare. Vorrei sottolineare questo, perché non si parla tanto della docilità. Essere docili è un dono che dobbiamo chiedere; la docilità è una virtù non solo da acquistare, ma da ricevere. È importante che ognuno di voi si domandi sempre: “Sono docile? Sono ribelle, o non mi importa nulla, faccio come mi importa?”. No: docile è un atteggiamento costruttivo della propria vocazione e anche della propria personalità. Senza docilità, nessuno può crescere e maturare. Infatti, la Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis afferma che il prete è un discepolo continuamente in cammino sulle orme del Maestro e, perciò, la sua formazione è un processo in evoluzione, iniziato in famiglia, proseguito in parrocchia, consolidatosi in Seminario e che dura per tutta la vita. La figura di San Giuseppe è il modello più bello al quale i vostri formatori sono chiamati a ispirarsi nel custodire e prendersi cura della vostra vocazione. A loro, quindi, intendo anzitutto rivolgermi.

Cari fratelli della Conferenza Episcopale Marchigiana, primi responsabili della formazione di questi giovani; caro rettore, direttore spirituale e formatori tutti, siate per i vostri seminaristi ciò che Giuseppe è stato per Gesù! Essi possano apprendere più dalla vostra vita che dalle vostre parole, come avvenne nella casa di Nazaret, dove Gesù si formò alla scuola del “coraggio creativo” di Giuseppe. Imparino la docilità dalla vostra obbedienza; la laboriosità dalla vostra dedizione; la generosità verso i poveri dalla testimonianza della vostra sobrietà e disponibilità; la paternità grazie al vostro affetto vivo e casto. «Accanto all’appellativo di padre, a Giuseppe la tradizione ha messo anche quello di “castissimo”. Non è un’indicazione meramente affettiva, ma la sintesi di un atteggiamento che esprime il contrario del possesso. La castità è la libertà dal possesso in tutti gli ambiti della vita. Solo quando un amore è casto, è veramente amore. L’amore che vuole possedere, alla fine diventa sempre pericoloso, imprigiona, soffoca, rende infelici» (Lett. Ap. Patris corde).

E ora, cari seminaristi, desidero rivolgermi a voi, a cui la Chiesa chiede di seguire l’esempio di Gesù che si lascia docilmente educare da Giuseppe. Egli, fin da ragazzo, ha dovuto sperimentare la fatica che comporta ogni cammino di crescita, porsi le grandi domande della vita, iniziare ad assumersi le sue responsabilità e a prendere le proprie decisioni. Ma Lui era Dio, non aveva bisogno, no: Lui ha imparato, ma sul serio ha imparato, non ha fatto finta di imparare: no, ha imparato. Era Dio, sì, ma era vero uomo: ha fatto tutte le tappe di crescita di un uomo. Forse non abbiamo riflettuto abbastanza sul giovane Gesù, impegnato a discernere la propria vocazione, ad ascoltare e a confidarsi con Maria e Giuseppe, a dialogare con il Padre per capire la sua missione.

Anche per voi il Seminario sia come la casa di Nazaret, nella quale il Figlio di Dio ha appreso dai genitori l’umanità e la vicinanza. Non accontentatevi di essere abili nell’uso dei social e dei media per comunicare. Solo trasformati dalla Parola di Dio potrete comunicare parole di vita. Il mondo è assetato di sacerdoti in grado di comunicare la bontà del Signore a chi ha sperimentato il peccato e il fallimento, di preti esperti in umanità, di pastori disposti a condividere le gioie e le fatiche dei fratelli, di uomini che si lasciano segnare dal grido di chi soffre. Attingete l’umanità di Gesù dal Vangelo e dal Tabernacolo, ricercatela nelle vite dei santi e di tanti eroi della carità, pensate all’esempio genuino di chi vi ha trasmesso la fede, ai vostri nonni, ai vostri genitori. Già Paolo lo diceva al suo amato discepolo Timoteo: “Ricordati di tua mamma e tua nonna, delle tue radici”. E leggete anche quegli scrittori che hanno saputo guardare dentro all’animo umano; penso ad esempio a Dostoevskij, che nelle misere vicende del dolore terrestre ha saputo svelare la bellezza dell’amore che salva. Ma qualcuno di voi potrà dire: ma che cosa c’entra Dostoevskij, qui? Questi sono per i letterati! No, no: è per crescere in umanità. Leggete i grandi umanisti. Un sacerdote può essere molto disciplinato, può essere capace di spiegare bene la teologia, anche la filosofia e tante cose. Ma se non è umano, non serve. Che vada fuori, a fare il professore. Ma se non è umano non può essere sacerdote: gli manca qualcosa. Gli manca la lingua? No, può parlare. Gli manca il cuore; esperti in umanità!

Il Seminario, dunque, non deve allontanarvi dalla realtà, dai pericoli e tanto meno dagli altri ma, al contrario, farvi diventare più prossimi a Dio e ai fratelli. Tra le mura del Seminario dilatate i confini del cuore – il cuore dilatato –, estendeteli a tutto il mondo, appassionatevi di ciò che “avvicina”, appassionatevi di ciò che avvicina, che “apre”, che “fa incontrare”. Diffidate delle esperienze che portano a sterili intimismi, degli “spiritualismi appaganti”, che sembrano dare consolazione e invece portano a chiusure e rigidità. E qui mi fermo un po’. La rigidità, è un po’ di moda, oggi; e la rigidità è una delle manifestazioni del clericalismo. Il clericalismo è una perversione del sacerdozio: è una perversione. E la rigidità è una delle manifestazioni. Quando io trovo un seminarista o un giovane sacerdote rigido, dico “a questo succede qualcosa di brutto dentro”. Dietro ogni rigidità c’è un problema grave, perché la rigidità manca di umanità.

Vorrei infine suggerirvi alcuni spunti relativi alle quattro dimensioni della formazione: umana, spirituale, intellettuale e pastorale. E queste quattro dimensioni vanno insieme, e una attua sull’altra: dimensione umana, dimensione spirituale, dimensione intellettuale e pastorale. Anzitutto, non prendete le distanze dalla vostra umanità, non lasciate fuori dalla porta del Seminario la complessità del vostro mondo interiore, dei vostri sentimenti e dell’affettività: non lasciarli fuori; non chiudetevi in voi stessi quando vivete un momento di crisi o di debolezza: è proprio dell’umanità parlarne. Apritevi in tutta sincerità ai vostri formatori, lottando contro ogni forma di falsità interiore. Quelli che hanno la faccia della Beata Imelda e dentro sono un disastro: no, questa è falsità interiore. Non fare l’angioletto, no. Coltivate relazioni pulite, gioiose, liberanti umane, piene, capaci di amicizia, capaci di sentimenti, capaci di fecondità.

Dimensione spirituale, la Spiritualità: la preghiera non sia ritualismo – i rigidi finiscono nel ritualismo, sempre; la preghiera sia occasione di incontro personale con Dio. E se tu ti arrabbi con Dio, fallo: perché arrabbiarsi con il papà è un modo di comunicare amore. Non avere paura: Lui capisce quel linguaggio, è padre – incontro personale con Dio, di dialogo e confidenza con Lui. Vigilate perché non accada che la liturgia e la preghiera comunitaria diventino celebrazione di noi stessi. Una volta sono andato a comprare le camicie – quando ancora potevo uscire adesso no – in un negozio di abbigliamento ecclesiastico. C’era un giovane, seminarista o sacerdote, che andava cercando dei vestiti. Io lo guardavo: si guardava allo specchio. E mi è venuta questa frase: questo sta celebrando se stesso, e lo stesso farà davanti all’altare. Per favore, che ogni celebrazione liturgica non sia una celebrazione di noi stessi. Arricchite la preghiera di volti, sentitevi già da ora intercessori per il mondo.

Lo studio – la terza dimensione – vi aiuti a entrare con consapevolezza e competenza nella complessità della cultura e del pensiero contemporaneo, a non averne paura, a non esserne ostili. Non avere paura. “Ma, padre, stiamo vivendo un tempo segnato da un pensiero ateistico” – Ma, tu devi capirlo, devi dialogare e devi proclamare la tua fede e proclamare Gesù Cristo a questo mondo, a questo pensiero. È lì che va incarnata la sapienza del Vangelo. E la sfida della missione che vi attende richiede, oggi più che mai, competenza e preparazione. Oggi più che mai: ci vuole studio, competenza, la preparazione per parlare con questo mondo.

E la formazione pastorale, la quarta dimensione, vi spinga ad andare con entusiasmo incontro alla gente. Si è preti per servire il Popolo di Dio, per prendersi cura delle ferite di tutti, specialmente dei poveri. Disponibilità agli altri: è questa la prova certa del sì a Dio. E niente clericalismo, l’ho detto già. Essere discepoli di Gesù significa liberarsi di sé stessi e conformarsi ai suoi stessi sentimenti, a Lui che è venuto “non per essere servito ma per servire” (cfr Mc 10,45).

Il vero pastore non si stacca dal popolo di Dio: è nel popolo di Dio, o davanti – per indicare la strada – o in mezzo, per capirlo meglio, o dietro, per aiutare coloro che restano un po’ troppo indietro, e anche per lasciare un po’ che il popolo, che il gregge, con il fiuto ci indichi dove ci sono i nuovi pascoli. Il vero pastore deve muoversi continuamente in questi tre posti: davanti, in mezzo e dietro. Alle volte, io vedo libri o congressi sul sacerdozio che toccano questo, questo aspetto, quell’altro, quell’altro, quell’altro, quell’altro. È vero, bisogna studiare tutto ciò, ma se tutti questi aspetti non hanno le radici nella tua appartenenza al santo popolo fedele di Dio, sono soltanto riflessioni accademiche che non servono. Tu sei prete del santo popolo fedele di Dio, tu sei sacerdote perché hai il sacerdozio battesimale e questo non potete negarlo.

Vorrei, infine, ringraziare i vostri Pastori – voi e i vostri colleghi: grazie – e le vostre comunità diocesane per la testimonianza di comunione ecclesiale, data dalla scelta di valorizzare l’istituzione interdiocesana e regionale del Seminario: questo a me piace tanto. E anche per necessità, perché una diocesi che ha quattro seminaristi non può avere un seminario con quattro o cinque o sei seminaristi: ci vuole la comunità. In un’epoca storica in cui si assiste – al di fuori come all’interno della Chiesa – a chiusure di stampo “campanilistico”, l’esperienza di comunione che state vivendo è un bell’esempio anche per altre diocesi che, attraverso la condivisione di un comune progetto formativo, saranno aiutate a reperire formatori e docenti adeguati alla grande sfida dell’accompagnamento vocazionale.

E un’ultima cosa. In queste quattro dimensioni – intellettuale, pastorale, comunitaria e spirituale – voi avrete dei professori, dei formatori, direttori spirituali e dovete parlare con loro. Ma cercate – nelle vostre diocesi – i vecchi preti, quelli che hanno la saggezza del buon vino, quelli che con la testimonianza vi insegneranno come risolvere dei problemi pastorali, quelli che, da parroci, conoscevano i nomi di tutti, di ognuno dei loro fedeli, anche il nome dei cani: questo me l’ha detto uno di loro. Ma come faceva lei – ho detto io – a conoscere avendo quattro parrocchie? “No, sì, si può”, mi disse con umiltà. Ma lei era riuscito a conoscere tutti? “Sì, io conoscevo il nome di ognuno, anche il nome dei cani”. E bravo. Un prete così vicino, e anche così vicino al tabernacolo: guardava tutti con la fede e la pazienza in Gesù. Preti vecchi che hanno portato sulle spalle tanti problemi della gente e hanno aiutato a vivere più o meno bene, e hanno aiutato a morire bene tutti. Parlate con questi preti, che sono il tesoro della Chiesa. Tanti di loro a volte sono dimenticati o in una casa di riposo: andate a trovarli. Sono un tesoro.

San Giuseppe vi accompagni e la Madonna vi custodisca. Io vi benedico e voi, per favore, pregate per me, perché questo lavoro è per niente facile! Grazie.

 

Città del Vaticano 10 giugno 2021

Saluto del Rettore a Papa Francesco

Santità, è davvero grande la gioia di noi tutti per questo incontro in occasione del ventesimo anniversario della dedicazione dell’altare della cappella del nostro Seminario: cuore della Comunità.

La ringraziamo per averci concesso questa bella e preziosa opportunità, che custodiremo tutti gelosamente nel cuore e che sarà una pietra miliare per il Seminario nei suoi oltre 110 anni di vita.

La saluto e ringrazio innanzitutto a nome dei tre Arcivescovi (presenti) della Commissione Episcopale di Vigilanza: il delegato per lo studio, S.E. Mons. Piero Coccia, Arcivescovo della Diocesi di Pesaro e Presidente della Conferenza Episcopale Marchigiana; il delegato per la disciplina S.E. Mons. Angelo Spina, Arcivescovo della Diocesi di Ancona-Osimo e Presidente della stessa Commissione Episcopale di Vigilanza; il delegato per l’economia, S. E. Mons. Francesco Massara, Arcivescovo delle Diocesi di Camerino-S. Severino Marche e di Fabriano-Matelica. Le assicuro, Santità, che da ciascuno di essi ci sentiamo accompagnati con costante e amorevole cura (a tal proposito desidero sottolineare che grazie alla provvidenziale mediazione dell’Arcivescovo di Ancona Mons. Angelo Spina, presidente della Fondazione “Buon Pastore, l’immobile e la vasta area di proprietà della Fondazione stessa, che dal 1993 ospita il nostro Seminario, è stato donato gratuitamente al Seminario Regionale, il quale dopo un trentennio si riavvale di una sede propria).

La saluto e ringrazio a nome dell’intera famiglia del Seminario: dell’equipe degli educatori (due vicerettori e due padri spirituali), dell’economo, dei Seminaristi (di cui alcuni provengono dall’America Latina e dalla Cina), dei Propedeuti e degli ultimi diaconi e presbiteri ordinati. Ma anche a nome di tutti coloro (alcuni, purtroppo, oggi per diversi motivi non sono presenti), che a vario titolo collaborano con la nostra Comunità: i dipendenti, che con il loro lavoro ci supportano nella vita ordinaria; il preside dell’Istituto Teologico, che insieme ai docenti, si occupano della formazione accademica dei seminaristi; i confessori straordinari e i consulenti (psicoterapeuti e non) che coadiuvano l’equipe educativa nel delicato ambito della formazione umana.

Santità, eccoci! Come le scrissi nella lettera che le feci pervenire lo scorso 11 marzo, il nostro, è un piccolo Seminario, che risente del calo delle vocazioni, ma che continua a essere per 12 delle 13 diocesi marchigiane (la Diocesi di Fermo ha ancora un suo seminario), un importante punto di riferimento e un segno di speranza: segno di un Padre che non abbandona e continua a prendersi cura del suo popolo.

Questo tempo, che stiamo vivendo, pone la Chiesa dinanzi a repentini cambiamenti e a numerose sfide, da ultimo quelle della pandemia che oltre a limitare la vita delle nostre Comunità, ha generato paura, precarietà e incertezza tali da anestetizzare la fiducia e la speranza nel futuro.

Tali sfide destano in tutti non poca preoccupazione. Ma come il loockdown, nonostante le difficoltà, ha donato alla nostra Comunità l’opportunità di sperimentare la bellezza di una fraternità condivisa, di celebrare la Pasqua e di sperimentare la forza della preghiera di intercessione, siamo certi che anche questo tempo, pur nella complessità che lo caratterizza, è ricco di bagliori di luce e di speranza. Tali segni, sono per tutti un forte richiamo alla conversione, a riconoscersi fragili e bisognosi di luce, a tornare al cuore del Padre e ritrovare il coraggio della profezia.

Santità, sin dall’inizio del Suo pontificato, Lei ci sta indicando con insistenza la strada da percorrere, esortandoci a rimettere al centro della vita personale ed ecclesiale la gioia del Vangelo, perché solo a partire da tale gioia potremmo essere testimoni e annunciatori credibili, capaci di accendere il fuoco nel cuore di un mondo apparentemente ostile e riluttante.

Ma dinanzi ai profondi cambiamenti culturali e sociali del mondo, molto spesso noi educatori ci chiediamo quale debba essere la statura umana e spirituale del presbitero, a volte costretto a fare i conti anche con i limiti e le ferite della propria umanità.

Santità, è forte in noi il desiderio di ascoltare la Sua parola. Ci aiuti a saper leggere con gli occhi di Cristo questo particolare momento della storia per viverlo in modo positivo e creativo, anche in Seminario, e La ringraziamo anticipatamente per quanto ci dirà.

Ci porti nel cuore e benedica il nostro Seminario, le nostre Diocesi e le nostre famiglie. Noi continueremo a pregare per Lei, perché il Signore La ricompensi per i Suoi ricchi e profondi insegnamenti e per i Suoi gesti, coraggiosi e profetici (come la Sua recente visita in Iraq e l’incoraggiante testimonianza della Chiesa irachena) e continui a benedire il Suo importantissimo ministero di Pastore della Chiesa universale.

Santità, Le diciamo ancora il nostro accorato grazie, ma anche che Le vogliamo un gran bene.

 

Fotogallery: