Funerali di Don Giovanni Squartini

La basilica cattedrale di San Ciriaco si è riempita di fedeli per le esequie di don Giovanni Squartini. In prima fila la sorella i familiari, il Sindaco di Staffolo e quello di Sirolo. All’inizio della celebrazione, presieduta dall’Arcivescovo e concelebrata da tanti sacerdoti, il Vicario Generale, don Carlo Carbonetti ha letto il necrologio. Al termine della celebrazione sono intervenuti: una fedele, il Sindaco di Staffolo e don Bruno Burattini a ricordare don Giovanni. La salma è stata portata a spalla dai sacerdoti dalla cattedrale al carro funebre.

Di seguito viene riportata l’omelia dell’Arcivescovo:

“Cari fratelli e sorelle, siamo qui a dare l’ultimo saluto a don Giovanni, ai familiari tutti e alla sorella che è stata “l’angelo custode” del fratello, a loro volgiamo esprimere la nostra affettuosa vicinanza e il nostro cordoglio.

Il congedo da un sacerdote che ha condiviso con noi innanzitutto la fede, diviene momento privilegiato per professare la “nostra” fede.

Siamo qui per dire la nostra certezza di vivere oltre il tempo.

Siamo qui per dire che don Giovanni vive nel Signore.   

Siamo qui per dire la consapevolezza di un legame che sopravvive oltre la morte e ci dona di poter ancora dialogare con i nostri cari.  Noi  cristiani chiamano questo “comunione dei santi”.

La prima lettura di san Paolo ai Corinzi ci ha fatto cogliere che se la morte è entrata nel mondo a causa del peccato, Cristo con la sua passione, morte e risurrezione ha vinto il peccato, ha vinto la morte, è risorto per dare la vita.

Siamo qui per dire che la vita del Signore risorto sarà la nostra vita.

Questo momento delle esequie, inoltre, ci permette di fissare nella memoria e nel cuore i tratti di Don Giovanni, sacerdote a noi caro.    

E’ difficile raccontare a parole una vita e ancor più è difficile dire del ministero di un prete: ci sono cose che rimangono custodite dal Signore che vede nel segreto, e dalla riservatezza delle relazioni che formano gran parte della vita di un sacerdote.   Conoscendo Giovani, sacerdote riservato, umile, non faccio elogi personali  cosa che  egli avrebbe rifiutato con dignitosa fermezza.   Pensando a lui vorrei fare l’elogio del prete comune: quello che vive con dedizione esemplare il quotidiano, in coerenza con la propria vocazione.  Sono i preti del nostro presbiterio!  Essi prendono in mano ogni giorno il loro ministero, come dono di Dio e come impegno concreto verso i fratelli, rimanendo profondamente ancorati in un rapporto personale con Gesù Cristo, che amano con cuore indiviso, sentendosi “quei servi inutili di cui parla il vangelo”.   Si tratta di preti comuni, che lavorano in mezzo alla gente, si dedicano al popolo di Dio, senza risparmio. Arrivano alla sera stanchi, avendo trovato nella giornata il tempo per la preghiera, per esercitare la carità (con gesti che mai nessuno conoscerà se non Dio solo.   Don Giovanni  è stato un prete così. 

Un prete che ha vissuto la molteplicità delle beatitudini, in modo particolare facendosi povero in spirito, affidando tutto al buon Dio.  Ricordo l’ultima visita che gli ho fatto a Jesi, dove era ospite presso  la Casa Pergolesi, insieme al Vicario generale. Raccontava i diversi luoghi dove era stato come parroco, con gli occhi lucidi pieni di gioia, le esperienze pastorali vissute  aggiungendo  i suoi limiti e le sue  inadeguatezze, ma lasciando a Dio di compiere cose grandi. I poveri in spirito sono quelle persone che fanno esperienza che Dio è tutto e l’io è niente,  il vero tesoro è Dio, che mai passa.

Questo momento di comune preghiera diviene per tutti noi anche un invito a riflettere sulla vita a partire dal suo termine ultimo: la morte.   La consapevolezza del limite della nostra esistenza terrena, ci dà la giusta misura del vivere.   Se uno non pensa mai alla morte, rischia di assumere davanti alla vita e davanti ai fratelli lo sguardo arrogante di chi si sente signore e padrone.   Siamo tutti di passaggio, nessuno è qui in pianta stabile. Quando ci si trova a riflettere sulla morte si è portati a guardare alla vita con una “sensibilità diversa”, una “mitezza d’animo” che ci rende più umani.  

Quando ci troviamo di fronte ad una persona malata per assisterla il nostro sguardo si modifica, diventa nuovo. Le cose che prima sembrano importanti, urgenti, si ridimensionano e diventano insignificanti. Il prendersi cura dell’alto, nel momento del bisogno, della malattia, della fragilità fisica e psichica, ci fanno vedere la vita in un modo diverso  che assume un valore nuovo.

Fuori dalla certezza della fede, la nostra umana esistenza si scontra con l’assurdo, il non senso, la vanità.   La morte è davvero un punto di vista prospettico importante per giudicare la vita e vedere che di noi, dopo, resterà solo il “bene compiuto e quello voluto”.  

Mi piace pensare che per il credente morire è un po’ come “tornare a casa sentendosi attesi”. Questa esperienza umana ‐ del “tornare a casa sentendosi attesi” ‐ è un’esperienza dolce nella vita di una persona. Sa che trova una luce accesa, una casa accogliente, una tavola preparata.   Una presenza infinitamente rassicurante e misericordiosa è quella di Dio, che oggi ha accolto don Giovanni, nella sua casa, casa di pace e di gioia, di luce e di gloria.

Accompagniamo la sua bella anima con la preghiera e consegniamola al Signore buono e grande nell’amore perché canti in eterno la Sua misericordia. Amen”.

 

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