“Lo sport come strumento di pace”: incontro con l’allenatore Davide Mazzanti

La centralità della persona nella pratica sportiva, la fiducia in se stessi per dare il meglio di sé, la bellezza del gioco di squadra e il rispetto degli avversari. Di questo si è parlato durante l’incontro “Lo sport come strumento di pace”, lunedì 16 gennaio presso la sala Coni dello Stadio del Conero, con Davide Mazzanti, allenatore della Nazionale femminile di pallavolo, e Luciano Sabbatini, allenatore, mental coach di Tamberi e direttore dell’Ufficio diocesano per la Pastorale dello sport, tempo libero e turismo. Come ha spiegato il direttore della Caritas diocesana Simone Breccia, introducendo la serata, si è trattato del primo appuntamento della quinta edizione di “Io sono pace”, il ciclo di incontri dedicato ai temi di grande attualità, frutto della collaborazione con gli uffici pastorali e la Consulta delle aggregazioni laicali diocesana. «Quest’anno cercheremo di raccontare il tema della pace non soltanto legandolo al tema del conflitto, – ha spiegato – ma provando a capire come essa sia un modello di valori, comportamenti e impegno quotidiano di dialogo, riconciliazione e cura del creato». Lo sport, appunto, può essere uno strumento di pace quando promuove la solidarietà, la condivisione e il rispetto.

Come ha infatti spiegato Luciano Sabbatini, parlando della relazione dello sport con i valori, «il metavalore è quello della pace, che è legato all’accoglienza, alla solidarietà e al senso di gratitudine. Attraverso la pratica sportiva possiamo veicolare ai giovani tanti valori e per far sì che questo avvenga è responsabilità degli operatori sportivi, dei dirigenti e degli allenatori, mettere al centro la persona umana prima dell’atleta. Nella mia esperienza da allenatore e da mental coach, in questi ultimi dieci anni ho visto che dietro a grandi prestazioni ci sono sempre grandi persone. Un allenatore deve quindi lavorare sulla persona, le prestazioni arrivano di conseguenza». Sabbatini ha anche raccontato tre storie in cui è prevalso il valore dell’amicizia, come il momento in cui Gianmarco Tamberi e Mutaz Barshim hanno condiviso la medaglia d’oro nel salto in alto maschile durante le Olimpiadi di Tokyo 2020, ciascuno scegliendo di rinunciare al salto che avrebbe reso esclusivo il gradino più alto del podio. Il risultato è stato il primo podio congiunto nell’atletica leggera in più di un secolo. L’hanno condiviso, saldando per sempre un’amicizia.

Davide Mazzanti ha poi raccontato la sua esperienza di allenatore della Nazionale femminile di pallavolo e ha parlato dell’importanza del gioco di squadra e della fiducia in se stessi. «Quando si parla di sport – ha detto – a volte si usa la parola rivalità. A me piace invece la parola competizione perché competere significa convergere insieme. Per raggiungere l’eccellenza abbiamo bisogno di grandi compagni di squadra e di grandi avversari. Credo ci sia una congiunzione tra la migliore versione di sé e la possibilità che questa migliore versione di sé si traduca in una migliore versione di squadra. L’identità della squadra dipende dall’identità di ognuna delle atlete e in questa connessione nasce qualcosa di importante, in grado di costruire un risultato eccezionale». Rispondendo alle varie domande, Mazzanti ha anche raccontato di aver sperimentato una sensazione di pace, quando ha provato una profonda connessione con le persone, ad esempio quando la sua squadra è stata di ispirazione per tanti, anche se aveva subito una sconfitta, o quando un ragazzo in carrozzina, tifoso di una squadra avversaria che aveva vinto la partita, gli si è avvicinato per augurargli di vincere la prossima volta.

Durante l’incontro si è anche parlato di come gestire le possibili conflittualità tra giocatrici nello spogliatoio e in campo e Mazzanti ha spiegato che «due persone entrano in conflitto quando non riescono a mettersi nei panni dell’altro. Io non dico chi ha ragione o meno, ma cerco di far capire che c’è qualcosa che non vedono degli altri. Bisogna imparare a cambiare prospettiva, ad osservare le vite degli altri». L’allenatore ha poi raccontato un episodio, sottolineando l’importanza della solidarietà e del rispetto degli avversari, quando dopo una vincita della Nazionale italiana in Serbia, al termine della partita i serbi hanno applaudito alla squadra italiana che ha poi festeggiato con sobrietà, senza strafare. Tra i temi toccati anche l’esperienza delle Olimpiadi, il divertimento nello sport e la «fiducia nella persona, in quello che può fare. Quando vai incontro a una sconfitta, la cosa più importante è la fiducia su quello che tu puoi fare. Nella sfida c’è l’incertezza e credo che la cosa fondamentale sia mantenere la fiducia su quello che si sta facendo, non tanto su quello che hai visto e che è accaduto, ma su quello che può accadere».

La conclusione è stata affidata all’Arcivescovo Angelo Spina che ha ricordato la preghiera di San Francesco di Assisi “Signore, fa’ di me uno strumento della tua pace” e ha sottolineato che lo sport è «una via della pace perché promuove la solidarietà, la condivisione e il rispetto. Insegna a stare con gli altri, a dare il meglio di sé e a scoprire la bellezza del gioco di squadra. I ragazzi divertendosi imparano a rispettare le regole e a lavorare insieme a un gruppo di compagni. La pace è possibile se al centro dello sport mettiamo la persona. Quando al centro non c’è la persona, alla base dello sport ci sono gli interessi economici, nascono gli scontri e si cerca di prevalere sugli altri. Si può essere grandi sportivi, ma prima bisogna essere grandi uomini e grandi donne». L’incontro è terminato con una foto di gruppo, in cui erano presenti anche il presidente del Coni regionale Fabio Luna e la squadra Pieralisi Volley femminile B1 di Jesi.

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