Domenica 11 febbraio, memoria della Beata Maria Vergine di Lourdes, è stata celebrata la XXXII Giornata mondiale del malato, sul tema “Non è bene che l’uomo sia solo”. Curare il malato curando le relazioni. Un invito a prendersi cura di chi soffre ed è solo perché, come ha ricordato Papa Francesco, «la prima cosa di cui abbiamo bisogno nella malattia è la vicinanza piena di compassione e di tenerezza». Anche Mons. Angelo Spina ha invitato i fedeli «a non essere indifferenti a prendersi cura dei malati», durante la Santa Messa presieduta la mattina nella parrocchia Collegiata Santo Stefano di Castelfidardo, a cui hanno partecipato tutti coloro che si impegnano nel mondo della salute, e nel pomeriggio presso l’ospedale di Torrette, alla presenza dei malati e degli operatori sanitari.
In entrambe le celebrazioni eucaristiche, l’Arcivescovo ha sottolineato quanto è importante la comunità che si raccoglie attorno a chi ha bisogno di assistenza e sostegno. Commentando il Vangelo sulla guarigione di un lebbroso, di una persona costretta a vivere in isolamento perché contagiosa, ha spiegato che «quest’uomo fa una supplica a Gesù: “Se vuoi puoi guarirmi”. Non pretende, si affida alla bontà del Signore che può sanarlo. Gesù ne ebbe compassione e compì un gesto che era proibito, lo toccò e gli disse : “Lo voglio, sii purificato”. E subito il lebbroso guarì. Dio non abbandona nessuno. Gesù è il medico venuto a toccare le nostre piaghe, perché le ha portate prima lui e dalle sue piaghe siamo stati guariti. La malattia non è un castigo, la via della croce non porta alla fine ma alla gloria».
Mons. Angelo Spina ha quindi ricordato che «siamo chiamati a fare ciò che ha fatto Gesù. Visitare gli infermi è un invito rivolto da Cristo a tutti i suoi discepoli: “Ero malato e mi avete visitato” (Mt 25,36)». Ha quindi ringraziato i medici, infermieri, volontari, ministri della comunione, «quando vi prendete cura dei malati vivete il Vangelo. Grazie anche ai cappellani dell’ospedale, quando sono stato ricoverato qui mi portavano sempre la comunione». Ha poi raccontato alcuni incontri vissuti durante la settimana, scene di Vangelo vissuto, con una coppia all’ospedale di Torrette che ieri festeggiava 50 anni di matrimonio, e un’altra coppia durante la visita pastorale ad Angeli di Varano. «È stato commovente vedere, durante la messa ad Angeli di Varano, un marito che ha portato la moglie con la sedia a rotelle davanti all’altare e si è preso cura di lei. Sono scene di Vangelo vissuto – ha raccontato – perché gli sposi nel matrimonio promettono di essere fedeli sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia. Ho anche incontrato una donna malata di Sla, che mi ha ringraziato per la visita e mi ha detto che offre questa sofferenza per tutti, in particolare per i sacerdoti, e rende grazie a Dio e ai suoi familiari che la assistono». Anche un altro incontro lo ha colpito, con una donna anziana che al termine di una messa gli ha confidato la sua preoccupazione: “Se mi dovessi ammalare, non potrei sopportare di soffrire senza che nessuno mi aiuti”. Qual è dunque la risposta della comunità cristiana? Stare accanto ai malati, non lasciarli soli. Anche se la scienza in alcuni casi non può guarire, possiamo sempre prenderci cura donando amore. Non abbiate paura di toccare i malati, di sporcarvi le mani e di fare gesti concreti di carità, perché al termine della vita Gesù vi dirà: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”».
Mons. Angelo Spina ha anche incontrato e benedetto i pazienti dei reparti di Oncologia e Chirurgia generale, accompagnato dal direttore sanitario dell’Azienda Ospedaliero Universitaria delle Marche Claudio Martini, dal cappellano dell’ospedale Padre Enrico Matta, dal direttore dell’Ufficio diocesano per la Pastorale della Salute Marco Cianforlini, dall’assistente spirituale dell’Ufficio diocesano per la Pastorale della Salute don Francesco Scalmati. Salutando gli operatori sanitari e i volontari, il dott. Cianforlini ha sottolineato che «in questa società che corre, è necessario rallentare e tornare all’essenziale, prendendoci cura delle persone malate. Negli ambulatori c’è l’acronomico PIC che significa “presa in carico”, sarebbe bello se diventasse “presa in cura”, in modo che non si parli di carico o di peso, ma di un abbraccio, di accoglienza e amore verso il malato».
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