Nel chiostro del santuario di San Giuseppe da Copertino ad Osimo è iniziata la celebrazione della Presentazione di Gesù al tempio, con la benedizione delle candele. E’ seguita la processione dal suggestivo chiostro al santuario. La celebrazione presieduta dall’arcivescovo Angelo ha visto la partecipazione delle monache del monastero di Filottrano e quelle di Osimo, insieme alle suore dei diversi istituti e ai religiosi presenti nella Arcidiocesi. E’ stata una celebrazione giubilare sentita e partecipata. L’Arcivescovo al termine ha ringraziato tutte le persone consacrate per la testimonianza di vita cristiana e per l’impegno nella Chiesa locale invitandole ad essere segno di speranza nel nostro tempo.
Di seguito viene riportata l’omelia dell’Arcivescovo:
<< Celebriamo oggi la Presentazione di Gesù al tempio, festa che comunemente chiamiamo della candelora. Gesù è la luce che illumina ogni uomo, tutta l’umanità. Questa presentazione è esperienza di accoglienza e di tenerezza, di stupore e di luce, festa di una famiglia, quella di Nazaret, che riconosce e accoglie Gesù, dono di Dio all’umanità.
La Chiesa, da ventinove anni, ha deciso di far coincidere questo abbraccio benedicente tra l’umano e il divino con la Giornata mondiale della vita consacrata, ricordando come questa rappresenti l’esperienza battesimale di tutti i cristiani, tutti siamo stati consacrati in forza del battesimo, simo figli di Dio, siamo il popolo di Dio, ma tanti uomini e donne sono state chiamate alla sequela ravvicinata di Gesù Cristo, attraverso il dono di se stessi, di un cuore indiviso che passa attraverso un generoso “si”, un “eccomi” che torna a mettere insieme il divino e l’umano, dove la “sposa” è chiamata a venire fuori, a non nascondersi più, perché l’inverno è passato, è giunta la primavera (Ct. 2,8-17), con il suo invito a rinascere, a risvegliarsi e a vivere.
E tutti voi, sorelle e fratelli che avete scelto la via dei consigli evangelici, vi siete consacrati, come «Sposa davanti allo Sposo […] avvolta dalla sua luce» (S. Giovanni Paolo II, Esort. Ap. Vita consecrata, 15);
Nell’attuale momento ecclesiale, segnato dalla sinodalità e dal Giubileo della speranza, ci rendiamo sempre più conto che è tempo di decisioni e non di rimpianti, è tempo di profezia comunitaria e non di isole felici, è tempo di cammino e non di pause, di fedeltà al Vangelo, sapendosi confrontare con le provocazioni culturali attuali e con un rinnovato senso di dialogo e di appartenenza ecclesiale.
«Ecco io vengo […] per fare, o Dio, la tua volontà» (Eb 10,7). Con queste parole l’autore della Lettera agli Ebrei manifesta la piena adesione di Gesù al progetto del Padre. Oggi abbiamo letto queste parole nel contesto liturgico caratterizzato dal simbolo della luce. Il vecchio Simeone riconosce che quel Bambino che ha tra le braccia è luce: << Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza preparata da te davanti a tutti i popoli; luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele>>(Lc2,29-32).
E tutti voi, sorelle e fratelli che avete scelto la via dei consigli evangelici, vi siete consacrati, come «Sposa davanti allo Sposo […] avvolta dalla sua luce» (S. Giovanni Paolo II, Esort. Ap. Vita consecrata, 15); vi siete consacrati a quello stesso disegno luminoso del Padre che risale alle origini del mondo. Riflettiamo allora su come, per mezzo dei voti di povertà, castità e obbedienza, che avete professato, anche voi potete essere portatori di luce per le donne e gli uomini del nostro tempo.
La luce della povertà. Essa ha le sue radici nella vita stessa di Dio, eterno e totale dono reciproco del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (ivi, 21). E’ il Figlio di Dio che si è fatto povero svuotando se stesso, facendosi uomo, e venendo ad abitare in mezzo a noi. Guardando a Lui si può esercitare sì la povertà. La persona consacrata, allora, con un uso libero e generoso di tutte le cose, si fa portatrice di una povertà che è benedizione: manifesta la bontà nell’ordine dell’amore, respinge tutto ciò che può offuscarne la bellezza: egoismo, cupidigia, dipendenza, e abbraccia invece tutto ciò che la può esaltare: la sobrietà, la generosità, la condivisione, la solidarietà. E l’apostolo Paolo lo dice: «Tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (1Cor 3,22-23). Questo è la povertà.
La luce della castità. Anche questa ha origine nella Trinità e manifesta un «riflesso dell’amore infinito che lega le tre Persone divine» (Vita consecrata, 21). La solenne professione fatta per vivere il voto di castità, rinunciando all’amore coniugale, nella via della continenza, ribadisce il primato assoluto, per l’essere umano, dell’amore di Dio, accolto con cuore indiviso e sponsale (cfr 1Cor 7,32-36), e lo indica come fonte e modello di ogni altro amore. Lo sappiamo, noi stiamo vivendo in un mondo spesso segnato da forme distorte di affettività, in cui il principio del “ciò che piace a me”, spinge a cercare nell’altro più la soddisfazione dei propri bisogni che la gioia di un incontro fecondo. Ciò genera, nelle relazioni, atteggiamenti di superficialità e precarietà, egocentrismo, edonismo, immaturità e irresponsabilità morale, per cui si sostituiscono lo sposo e la sposa di tutta la vita con il partner del momento, i figli accolti come dono con quelli pretesi come “diritto” o eliminati come “disturbo”. Che medicina per l’anima è incontrare religiose e religiosi capaci di una relazionalità matura e gioiosa. Sono un riflesso dell’amore divino (cfr Lc 2,30-32). A tal fine, però, è importante, prendersi cura della crescita spirituale e affettiva già dalla formazione iniziale, e in quella permanente, perché la castità mostri davvero la bellezza dell’amore che si dona, e non prendano piede fenomeni deleteri come l’inacidimento del cuore o l’ambiguità delle scelte, fonte di tristezza, insoddisfazione e causa, a volte, dello svilupparsi di vere e proprie “doppie vite”. La lotta contro la tentazione della doppia vita è quotidiana.
La luce dell’obbedienza. Il rapporto tra Gesù e il Padre è di obbedienza: «Ecco io vengo […] per fare, o Dio, la tua volontà» (Eb 10,7), è la «bellezza liberante di una dipendenza filiale e non servile, ricca di senso di responsabilità e animata dalla reciproca fiducia» (Vita consecrata, 21). È proprio la luce della Parola che si fa dono e risposta d’amore, segno per la nostra società, in cui si tende a parlare tanto ma ascoltare poco: in famiglia, al lavoro e specialmente sui social, dove ci si possono scambiare fiumi di parole e di immagini senza mai incontrarsi davvero, perché non ci si mette veramente in gioco l’uno per l’altro. Tante volte, nel dialogo quotidiano, prima che uno finisca di parlare, già esce la risposta. Non si ascolta. Ascoltarci prima di rispondere. Accogliere la parola dell’altro come un messaggio, come un tesoro, anche come un aiuto per me. L’obbedienza consacrata è un antidoto a tale individualismo solitario, promuovendo in alternativa un modello di relazione improntato all’ascolto fattivo, in cui al “dire” e al “sentire” segue la concretezza dell’“agire” e questo anche a costo di rinunciare ai propri gusti, ai propri programmi e alle proprie preferenze. Solo così, infatti, la persona può sperimentare fino in fondo la gioia del dono, sconfiggendo la solitudine e scoprendo il senso della propria esistenza nel grande progetto di Dio. Cari fratelli e sorelle consacrate , questo è il tempo per ritornare alle origini. Ma non un ritorno all’origine come tornare a un museo, no. La Parola di Dio che abbiamo ascoltato ci ricorda che il primo e più importante “ritorno alle origini” di ogni consacrazione è, per tutti noi, quello a Cristo e al suo “sì” al Padre. Ci ricorda che il rinnovamento, prima che con le riunioni e le “tavole rotonde” – che si devono fare, sono utili – si fa davanti al Tabernacolo, in adorazione. Sorelle, fratelli, noi abbiamo perso un po’ il senso dell’adorazione. Siamo troppo pratici, vogliamo fare le cose, ma è necessario adorare. Adorare. La capacità di adorazione nel silenzio. E così si riscoprono le proprie Fondatrici e i propri Fondatori anzitutto come donne e uomini di fede, e ripetendo con loro, nella preghiera e nell’offerta: «Ecco io vengo […] per fare, o Dio, la tua volontà» (Eb 10,7)>>.
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