Incontro dell’Arcivescovo con le Autorità per gli auguri di Natale

19-12-2017

L’intervento dell’Arcivescovo

Presso il Centro Pastorale Stella Maris di Colleameno in Ancona si è svolto l’incontro dell’Arcivescovo con le Autorità per gli auguri di Natale. Presenti oltre Mons. Angelo Spina, il presidente della CEM Mons. Piero Coccia e l’Arcivescovo Emerito S. E. il cardinale Edoardo Menichelli. L’incontro è stato aperto da un’esibizione del violinista osimano Marco Santini.

Il nostro Arcivescovo ha iniziato dicendo che nel 2019 ricorrono gli ottocento anni da quando san Francesco D’assisi si imbarcò nel Porto di Ancona per raggiungere prima l’Egitto, poi la Terra Santa e da lì ritornò in Italia ripassando, ancora, per Ancona. Nel 1220 san Francesco realizzò il primo Presepio a Greccio, molto probabilmente, avendo ancora negli occhi le immagini della Terra Santa.

Partendo dal Presepio l’Arcivescovo ha parlato di Dio fattosi uomo per portarci la luce, la pace, la gioia. Invitandoci a guardare al Presepe Mons. Spina, ci ha invitato a cambiare lo smarrimento e l’individualismo di questi tempi con l’umanità vera.

Contro la tendenza a lamentarci, Mons. Arcivescovo, ha sottolineato come dobbiamo opporre un’armonia di alleanze buone, con l’elogio a tutta quella gente impegnata nelle varie Istituzioni in diversi servizi utili e necessari alla società in senso lato.

Mons. Coccia è partito dalle analisi contenute nell’ultimo rapporto del CENSIS, che sottolineano come il nostro futuro sia incollato al presente e come il sentimento dominante sia il rancore, per sottolineare come vi sia la necessità di lavorare insieme per fare sistema. In altre parole, ha detto il Presidente della CEM, all’astrazione, cioè alla divisione si opponga il concretizzare. Nelle Marche, ha concluso, ci sono tutte le condizioni per costruire un futuro migliore: l’onestà, la laboriosità e l’inventiva.

Il Cardinal Menichelli chiedendosi e chiedendoci quale Natale vogliamo vivere, ha sostenuto come il Natale vada vissuto riscoprendo la povertà che è uno stile di vita che non significa non avere, ma avere con libertà.

Il Cardinale ci ha invitato a riprendere in mano la povertà ed a vivere la solidarietà per ritrovare la pace. Quando nacque Gesù tutti erano in pace: noi nella nostra vita abbiamo sempre sentito parlare di necessità di raggiungere la pace e l’invito, finale, è stato quello di riscoprire in ogni essere umano la dignità.

INTERVENTO DI MONS. ANGELO SPINA

A tutti rivolgo un cordiale benvenuto a questo tradizionale incontro di scambio di auguri natalizi, nato dalla felice intuizione del nostro cardinale Edoardo Menichelli. È per me la prima volta che vi incontro, questa sera è con noi anche il Presidente della Conferenza episcopale Marchigiana Monsignor Piero Coccia, che di cuore ringrazio.
Nel 2019 ricorrono ottocento anni da quando S. Francesco d’Assisi è giunto ad Ancona e da qui ha preso la via del mare verso l’Egitto per fermare la violenza tra scristiani e musulmani. Fu proprio S. Francesco che nel 1223 realizzò la prima rappresentazione della Natività, dopo aver avuto l’autorizzazione dal papa Onorio III. S. Francesco era tornato da poco (nel 1220) dalla Palestina e, colpito dalla visita a Betlemme, intendeva rievocare la scena della natività in un luogo, Greccio, che trovava tanto simile alla città palestinese. Tommaso da Celano, biografo e cronista di S. Francesco, descrive così la scena nella Legenda secunda: “Si dispose la greppia, si porta il fieno, sono menati il bue e l’asino, si esalta la povertà, si loda l’umiltà e Greccio si trasforma quasi una nuova Betlemme”. Il racconto di Tommaso da Celano è ripreso da Bonaventura da Bagnoregio nella Leggenda maggiore: “I frati si radunano, la popolazione accorre, il bosco risuona di voci, quella venerabile notte diventa splendore di luci, solenne e sonora di lodi armoniose. L’uomo di Dio (Francesco) stava davanti alla mangiatoia, pieno di pietà, bagnato di lacrime, traboccante di gioia, il rito solenne della messa viene celebrato sopra alla mangiatoia e Francesco canta il Santo Vangelo. Poi predica al popolo che lo circonda e parla del re povero che egli chiama <>.
La descrizione di Bonaventura è la fonte che ha usato Giotto per comporre l’affresco Presepe di Greccio, nella basilica Superiore di Assisi.
Quanta storia, tradizione e cultura c’è dietro il presepe, tanto che Eduardo De Filippo, in “Natale in casa Cupiello” fa esclamare: “Ti piace ‘o presepe?”, “Che Natale è senza ‘o presepe”.
La mangiatoia, letteralmente presepium, è il luogo dove viene posto Gesù appena nato. La notte buia dell’umanità si illumina di una luce nuova che dà gioia incontenibile. Il presepe ci è caro, non solo perché appartiene a una lunga tradizione culturale, ma per il messaggio forte e nuovo che porta con sé. Nel presepe c’è il cosmo con la stella cometa, il cielo puntellato di stelle, l’alba e il tramonto, la terra con i monti, i fiumi, i laghi, la vegetazione, gli animali e poi i tanti personaggi, al centro la natività: Giuseppe, Maria e Gesù, gli umili pastori che si recano alla grotta, i sapienti magi, cercatori di verità, in cammino, guidati dalla stella. Ma a distanza c’è anche chi ha rifiutato di dare alloggio e il sospettoso Erode, assetato di potere, che non vuole rivali e ordina una strage di innocenti. Nel presepe tutto ruota intorno a quel bambino che è il Figlio di Dio fattosi uomo, non nella gloria, ma nell’umiltà. San Francesco, al di là degli accenti poetici, volle sottolineare proprio questo. Che Dio si è fatto uomo, si è fatto vicino nella povertà e nell’umiltà per portare ad ogni uomo la luce che vince le tenebre, la pace che porta armonia, la gioia che vince la tristezza. Risuona ancora solenne la preghiera semplice di S. Francesco. “Signore, fa’ di me uno strumento della tua pace, dov’è odio che porti amore, dove il dubbio la fede, dove c’è la disperazione la speranza”.
Nell’umanità del Bambino nato a Betlemme, nato per noi, veniamo invitati a fare una lettura del nostro tempo. Al tempo di Agostino, vescovo di Ippona, la gente gli diceva: i tempi di una volta erano migliori, oggi i tempi sono cambiati, (c’era l’invasione barbarica). Agostino rispondeva: Non sono i tempi che sono cambiati, noi siamo il tempo. Leggendo il nostro tempo lo vediamo sempre più segnato da un senso di smarrimento, colpito dalla malattia dell’individualismo.
L’individualismo egocentrico ha radici lontane e una forza persuasiva e pervasiva impressionante, alimentata da enormi interessi. E’ infatti evidente che chi è solo è più debole e più facilmente manipolabile, anche se si pensa di essere tranquilli. Ridurre le persone a individui rende labili i rapporti, fragili le famiglie, instabili gli affetti, isolate le persone, induce i cittadini a ignorare la città, a preoccuparsi solo di sé, del proprio benessere, della propria sicurezza. Le persone diventano clienti, i loro bisogni cercano soddisfazione nei consumi, le sicurezze si identificano con l’accumulo, lo sguardo sul futuro è miope e la responsabilità un fastidio da evitare. Gli indici per misurare il tempo che si vive si riducono agli aspetti economico-finanziari e la notizia più importante è l’andamento della Borsa. La società è così esposta al rischio di essere sterile, senza bambini e senza futuro, e le persone isolate, senza famiglia e senza comunità.
La percezione che si ha nel nostro tempo è che tutto si è ribaltato, rovesciato e l’umanità soffre. L’immagine che ci può aiutare è quella di un edificio; pensiamo a come viene fatta una costruzione: solide fondazioni, pilastri consistenti, solai resistenti e tetto sicuro. Immaginiamo un edificio di sette piani: come metterli in ordine e in modo che siano intercomunicanti? Alla base come fondazione va messa la dimensione spirituale che regge il resto da cui vengono fuori i valori morali che impegnano il vivere quotidiano di cultura, che fa sì che ci siano buone relazioni sociali e l’impegno politico a favore della polis per il bene comune, che gestisce l’economia per una buona finanza. Oggi sembra che la costruzione si sia rovesciata: è la finanza che detta legge, non a caso, come dicevo poco sopra, la prima notizia è come va la Borsa, c’è poi l’economia, la politica non ha quella autonomia e forza propulsiva necessaria e diventa succube delle prime due; la società è meno coesa, la cultura perde spessore di pensiero pensato, avanza la superficialità, la moralità si sbriciola attaccata dalla dilagante corruzione e la spiritualità tende a scomparire soffocata dall’imperante consumismo e materialismo. I piani sono ribaltati e non più intercomunicanti.
Tornare al presepe allora non è la nostalgia di tempi passati, ma fermarsi a riflettere per ritrovare l’umanità, quella vera. Quando ero bambino facevo il piccolo presepe in un angolo della casa, visto i pochi spazi delle case di un tempo. Mettevo tutti i personaggi, ma uno lo scartavo per principio perché era curvo, ripiegato su se stesso, incantato, e non aveva niente in mano da portare a differenza degli altri che portavano doni al bambino Gesù. Questo personaggio lo mettevo in fondo, lontano dalla natività. Ma poi me lo ritrovavo davanti alla capanna. Gli spostamenti li faceva mio nonno. Un giorno, dopo una discussione, mi disse: “Quel personaggio deve stare davanti a tutti, vicino alla natività, perché tutti i personaggi portano qualcosa a Gesù ma quel personaggio è lì incantato, colmo di meraviglia, contempla quel Bambino, nato per noi, e ne riceve gioia interiore, rinasce orientando la sua vita per essere costruttore di armonia e di pace”. Sì, il presepe è armonia dove tutto è nel frammento di quel Bambino e quel frammento è nel tutto. Il nostro è il tempo in cui è necessario ricostruire l’armonia. Platone ha spiegato cos’è l’armonia: quando due pietre focaie si scontrano fanno scintille, ma se tra l’una e l’altra si pone una sottile barriera di pelle si incontrano e non si fanno danno. E’ come la cartilagine nelle nostre ginocchia, quando si consuma e le ossa si toccano, si sentono i dolori.
Contro la tendenza diffusa di lamentarsi di tutto e di tutti, contro quella seminagione amara di scontento che diffonde scetticismo, risentimento e disprezzo, che si abitua a giudizi sommari e a condanne perentorie e getta discredito sulle istituzioni e sugli uomini e le donne che vi ricoprono ruoli di responsabilità bisognerebbe fare l’elogio, come ha sottolineato di recente l’arcivescovo di Milano. Oggi c’è bisogno di armonia, di alleanze buone.
Un elogio va ai sindaci: essi sono specie nei paesi e nelle città, la prossimità più accessibile della pubblica amministrazione. I sindaci sono esposti alle attese e alle pretese di tutti, sono spesso oggetto di polemiche e di denunce, intrappolati in una burocrazia complicata, sono condizionati da una cronica mancanza di risorse. Però se sono onesti e dediti, i sindaci sono là, tra la gente in ascolto di tutti, con il desiderio di rendersi utili, con la frustrazione di essere spesso criticati e di riconoscersi impotenti. Però sono là, in mezzo alla gente.
Un elogio alle forze dell’ordine chiamate a prevenire e a vigilare costantemente sui cittadini difendendo i più deboli dalle ingiustizie. Un elogio ai vigili del fuoco, alla protezione civile per la costante dedizione nei confronti delle popolazioni, specialmente quelle colpite dal sisma e da calamità. Un elogio a quanti operano per la custodia e la salvaguardia del creato. Un elogio al mondo della scuola, dell’università, luoghi di incontro, di crescita culturale e di spazi senza barriere. Un elogio agli operatori sanitari che lavorano negli ospedali e nei servizi sociosanitari domiciliari. Un elogio alle istituzione regionali e provinciali chiamate a non avere paura di progettare il futuro. Un elogio ai parroci e alle parrocchie che si fanno prossimi alla gente. L’elenco dovrebbe prolungarsi nell’elogio di tante altre istituzioni presenti capillarmente nel territorio, unitamente alle tante associazioni e strutture di cooperazione che creano rete di attenzione e di solidarietà verso le persone. Ma non si può tralasciare l’elogio degli onesti e dei competenti, dei generosi e dei coraggiosi.
Tutte queste risorse, oggi così necessarie per vivere in città affidabili, hanno bisogno di armonia. Le istituzioni, tutte le istituzioni, sono chiamate ad allearsi per favorire quello sviluppo di legami sociali per costruire la casa comune, il bene comune, la pace sociale e una convivenza civile serena.
Occorre promuovere progetti in questa direzione. E allora insieme, ci si pone domande tipo: quali case meritano di essere costruite? Quali infrastrutture sono prioritarie? Quale gestione degli spazi, del verde, dei servizi deve essere perseguita? Quali servizi alla persona (educativi, sociali, sociosanitari e sanitari) devono essere garantiti (per tutta la vita e per la vita di tutti)? Come favorire tra le strutture abitative luoghi di incontro e di condivisione tra persone e tra famiglie? Quale politica urbanistica deve essere progettata per favorire una migliore integrazione tra le diverse fasce della popolazione, evitando la nascita di ghetti e zone di segregazione? Quale gestione e promozione dello sviluppo del commercio va sostenuta, per non perdere il capitale sociale rappresentato dai negozi di quartiere? In che modo immaginare il disegno della città e delle periferie, per rendere lo spazio non solo abitabile ma anche bello e capace di comunicare armonia e serenità? Come favorire lo sviluppo di relazioni e di legami, incrementando in questo modo il grado di sicurezza delle persone che vivono in quel quartiere, non delegando questo compito alle sole forze dell’ordine? Come diffondere e far crescere tra gli abitanti la voglia di conoscere la storia dei luoghi, di condividere la festa, di nutrire la memoria comune, di sentirsi sempre più un popolo e una comunità? (…)
Le istituzioni e tutti noi siamo chiamati a impegnarci per ascoltare le paure, comprenderne le ragioni e sradicarle, per contrastare lo squallore e curare l’ordine e la bellezza di ogni angolo di città e paesi, ricchi di storia, sorprendenti per i tesori non solo paesaggistici, ma di persone laboriose e generose.
È necessaria un’alleanza tra tutti gli uomini e le donne di buona volontà per difendere questo bene comune, per contrastare l’insinuarsi e l’affermarsi di quanto minaccia il convivere in pace.
E davanti al presepe, che S. Francesco per la prima volta ha realizzato a Greccio, veniamo invitati a riflettere e a rinascere con una nuova e luminosa umanità.
Grazie! Buon Natale a tutti voi, alle vostre famiglie. Buon Anno Nuovo.

+ Mons. Angelo Spina, Arcivescovo Metropolita di Ancona-Osimo
Colle Ameno – Ancona 19 dicembre 2017